La Forgia, l'ex presidente dell'Emilia Romagna morto in sedazione profonda. La rabbia della moglie: «Paese ipocrita»

La Forgia, l'ex presidente dell'Emilia Romagna morto in sedazione profonda. La rabbia della moglie: «Paese ipocrita»
La Forgia, l'ex presidente dell'Emilia Romagna morto in sedazione profonda. La rabbia della moglie: «Paese ipocrita»
di Francesco Malfetano
Sabato 11 Giugno 2022, 09:00
4 Minuti di Lettura

«Quando sarà il momento ti verrò a prendere». «Non sedurre troppe signore lassù». Queste parole d'addio, affidate dalla moglie di Antonio La Forgia alla sua pagina Facebook, qualche giorno fa sono rimbalzate ovunque. La testimonianza del tenero affetto con cui Maria Chiara Risoldi ha salutato l'ex deputato e governatore della Regione Emilia Romagna con cui ha condiviso 33 anni di vita, chiudeva però una lettera di denuncia che ha fatto ancor più scalpore. «Il corpo è costretto a stare qui - aveva scritto denunciando l'ipocrisia tutta italiana dietro al fine vita e alla sedazione profonda - ma la mente è già arrivata in un luogo più leggero». Ieri però, le sofferenze di La Forgia sono finite ed è morto a 78 anni nella sua Bologna, dopo un anno e mezzo di lotta contro un tumore inguaribile. Gli ultimi giorni, nelle parole della moglie, sono stati «un dolore troppo lungo». Così dopo che il quadro clinico del 6 giugno teneva ormai conto di varie metastasi e di un «dolore in crescita esponenziale non contenibile con terapia antalgica», l'ex deputato ha preso l'ultima decisione di un uomo politico che ha sempre scelto con energia e lucidità da che parte stare: è stata quella di firmare la Dat, disposizione anticipata di trattamento, il cosiddetto testamento biologico. Si è cioè sottoposto alla sedazione profonda, l'ultimo avamposto del parossismo italiano che consente l'annullamento della coscienza attraverso uno stato comatoso ma non l'eutanasia. 

Protagonista della vita bolognese fin dagli anni 80, quando iscritto al Pci, fu assessore, e poi segretario del Pds.

Nel 1996, quando Prodi chiamò Pier Luigi Bersani a fare il ministro dell'industria nel suo primo governo, La Forgia gli subentrò alla presidenza, dove restò fino al 1999, quando si dimise in seguito alla sua uscita dal partito per aderire al progetto prodiano de I Democratici. Da allora è sempre stato politicamente e umanamente molto vicino a Prodi e per due legislature, dal 2006 al 2013, è stato deputato, partecipando attivamente anche alla nascita del Partito Democratico. E non a caso ieri, tra i tantissimi che si sono stretti attorno alla moglie, ai due figli e agli amici di La Forgia, c'è stato Enrico Letta. «Tutta la nostra comunità si stringe a loro in un grande abbraccio, carico di ricordi, di stima e di riconoscenza» ha scritto su Twitter.

 

La lezione di La Forgia oggi, è stata rimettere sul tavolo di un Paese che continua a non volersene occupare il tema dell'eutanasia. Un tabù che solo negli ultimi giorni ha condannato alla sofferenza sospesa anche Fabio Ridolfi. Il 46enne di Fermignano, Pesaro, da 18 anni è immobilizzato a causa di una tetraparesi da rottura dell'arteria basilare: cioè può muovere solo gli occhi e comunica con un puntatore oculare. Senza più le forze di aspettare tutti i passaggi legali che lo autorizzano al suicidio assistito, Fabio si è arreso alla sedazione profonda. La stessa scelta da La Forgia. Una sorta di limbo fatto di iniezioni di morfina ogni 4 ore: ha scelto di salutare il mondo facendosi addormentare. 

Il problema per l'eutanasia è che oggi manca ancora una legge che ne definisca i confini e le regole. Eppure la cosiddetta sentenza Cappato - relativa all'incidente di costituzionalità sollevato sull'articolo 580 del codice penale nel processo a Marco Cappato per l'aiuto al suicidio fornito a Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo - ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quell'articolo per la parte relativa all'aiuto al suicidio. Un limbo, anche in questo caso, contro cui proprio Cappato e l'associazione Luca Coscioni si battono. Anche per evitare nuove assurde contorsioni giuridiche come quelle di Mario (nome di fantasia), 44 anni, completamente paralizzato da 12 a causa di un incidente stradale. Ha ottenuto l'ok all'eutanasia in Italia ma «in assenza di una legge lo Stato italiano non si fa carico dei costi dell'assistenza al suicidio assistito. Non eroga il farmaco, non fornisce la strumentazione idonea, non fornisce il medico». Un'assurdità a cui ora può essere posta la parola fine solo grazie alla raccolta fondi lanciata dall'Associazione Luca Coscioni che «ha raggiunto i 5mila euro in sole 3 ore, e al momento ha superato i 16mila euro: più del triplo della cifra necessaria di partenza»

© RIPRODUZIONE RISERVATA