Latina, estorsione con metodo mafioso e riciclaggio: 11 arresti e quattro società sequestrate

Latina, estorsione con metodo mafioso e riciclaggio: 11 arresti e quattro società sequestrate
Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:55 - Ultimo agg. 16:38
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Undici misure cautelari e quattro società sequestrate, attive nella commercializzazione del vetro. E' l'esito di un'operazione condotta dalla squadra mobile di Latina e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. 

I reati contestati nell'operazione Dirty Glass” sono di materia fiscale e tributaria e riguardano la violazioni della legge fallimentare, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accesso abusivo a sistema informatico, rivelazioni di segreto d'ufficio, favoreggiamento reale, turbativa d'asta, sequestro di persona e detenzione e porto d'armi da fuoco.

Dalle indagini è emersa una qualificata rete di relazioni attraverso cui gli indagati, in prevalenza imprenditori della provincia di Latina ed altri di origini campane, gestivano le proprie attività commerciali realizzando profitti illeciti derivanti dall'acquisizione di asset distratti da società commerciali in dissesto, dalla turbativa di procedimenti di esecuzione e da attività di riciclaggio di proventi di attività delittuose. Le attività tecniche di intercettazione consentivano di accertare altresì come il perseguimento di tali finalità illecite avveniva attraverso l'utilizzo sistematico di soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione rivelatisi a disposizione degli indagati, nell'opera di acquisizione di informazioni coperte da segreto d'ufficio e strumentali a schermare le imprese criminali da eventuali indagini di polizia giudiziaria. Un profilo particolarmente caratterizzante si è rivelato altresì quello relativo alla capacità di relazionarsi con appartenenti al mondo della criminalità organizzata, utilizzandone all'uopo i servizi laddove emergesse la necessità di risolvere contrasti con altri imprenditori, avvalendosi in tal caso della forza di intimidazione derivante dall'appartenenza di tali soggetti a clan autoctoni di natura mafiosa operanti sul territorio di Latina. 


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Le attività di intercettazione hanno permesso di accertare anche il coinvolgimento di soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, che si adoperavano per acquisire informazioni coperte da segreto d'ufficio e strumentali a schermare le imprese criminali da eventuali indagini di polizia giudiziaria.


 

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Le indagini hanno poi verificato la capacità degli imprenditori di relazionarsi con appartenenti al mondo della criminalità organizzata, "utilizzati" all'occorrenza per risolvere eventuali contrasti con altri imprenditori, grazie alla forza di intimidazione derivante dall'appartenenza a clan criminali che operano sul territorio di Latina.

L'inizio
Le indagini, sono partite a seguito di una denuncia sporta nel dicembre del 2017, da Luigi De Gregoris nella quale dichiarava di aver rinvenuto una busta dinanzi alla porta d'ingresso del suo ufficio, intestata "al signor Luigi" e contenente alcune munizioni ed un biglietto con la scritta "bastardo devi pagare". «Notizia di reato poi rivelatasi costruita ad arte dal denunciante - spiegano gli investigatori - con la presunta complicità di un ex poliziotto».

La finta estorsione
Gli elementi raccolti nel corso dell’indagine, dai poliziotti delle Squadre Mobili di Latina, Napoli, Lucca e Caserta, anche alla luce delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, consentivano di affermare «come alcuni degli indagati abbiano simulato un’estorsione a carico di un uomo, tentando di incolpare ingiustamente di tale condotta altre persone; scopo dell’operazione era attribuire a due persone - Biagio I. e Biagio R. - la responsabilità non solo dell’estorsione in danno di Luigi De Gregoris, ma anche quella di aver dato mandato ad Armando Di Silvio per il recupero dei 50.000,00 euro versati a titolo di caparra confirmatoria al Dd Gregoris, per l’acquisto di un terreno».

Il prestanome
Le attività tecniche di intercettazione, dunque, svolte al fine di accertare l'identità dell'autore delle intimidazioni apparentemente realizzate ai danni di De Gregoris consentivano in realtà agli investigatori «di apprendere la consumazione di una serie rilevante di reati di matrice economica riconducibili al mondo imprenditoriale facente capo a Luciano Iannotta». In particolare emergeva «come dietro a De Gregoris e alle imprese dallo stesso rappresentante si celava Luciano Iannotta, reale amministratore di numerose società fittiziamente intestate al primo». Si aveva infatti modo di accertare come da un lato l'esistenza di numerosi procedimenti penali a carico di Iannotta «abbia evidentemente determinato lo stesso a schermare la propria partecipazione in un elevato numero di società tramite alcuni uomini di fiducia (De Gregoris si è rivelato essere il più vicino all’imprenditore), e dall'altro come tali operazioni di intestazione fittizia delle quote sociali sia stata preordinata altresì alla realizzazione del riciclaggio di proventi di attività delittuose».

Le bancarotte fraudolente
«Le modalità di acquisizione di alcuni compendi aziendali - spiegano gli inquirenti - grazie la complicità tra gli altri di Pio Taiani, consentivano poi di accertare fatti di bancarotta fraudolenta realizzati al fine di subentrare nella gestione di aziende in dissesto in prossimità della declaratoria di fallimento, in tal modo sottraendo ai creditori delle imprese decotte i principali assets al di fuori della procedura concorsuale: è il caso delle Società riconducibili ad un gruppo, di proprietà di Franco Pagliaroli». Nella medesima direzione, veniva registrata una serie di operazioni di riciclaggio di fondi di provenienza delittuosa riconducibili ad alcuni soggetti campani, tali Gennaro e Antonio Festa, che, tramite simulate operazioni di compravendita immobiliare, e aumenti di capitale sociale in società partecipate, reimpiegavano centinaia di migliaia di euro nelle imprese riconducibili a Iannotta».

Il riciclaggio dei soldi della camorra
«In tale contesto - spiegano gli inquirenti, emergeva la figura di Pasquale Pirolo (nato a Curti nel '49) - soggetto condannato tra l’altro per il reato di cui al 416 bis poiché contiguo a clan camorristici, che ha avuto un ruolo attivo nel mettere in contatto i fratelli Festa con Iannotta per consentire l’operazione di riciclaggio attraverso la ricapitalizzazione della società ITALY Glass con denaro illecito».

La tangente
Secondo quanto argomentato dal GIP, Pirolo avrebbe inoltre dimostrato «disinvoltura nell’intervenire presso un funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Roma rimasto non identificato, per consentire proprio a Iannotta di risolvere un contenzioso dietro il pagamento di una tangente di 25.000». Il proseguo delle indagini ha portato alla luce la commissione di altri reati contro la Pubblica amministrazione. Iannotta, Nathan Altomare e De Gregoris secondo l'accusa «turbavano la gara nei pubblici incanti, in relazione alla procedura esecutiva di beni di proprietà di una società riconducibile ad un prestanome del Iannotta». Singolare e significativo l’episodio nel quale il gruppo «veniva coinvolto nell’apparente corruzione di un funzionario della Regione Lazio, grazie al rapporto di Natan Altomare con alcuni imprenditori e funzionari pubblici, finalizzata all’illecita aggiudicazione di una procedura aperta bandita per la fornitura di cassonetti destinati alla raccolta dei rifiuti».

La truffa subita
Tale episodio, alla luce di quanto ricostruito, «si rivelerà una truffa ordita da ignoti che nell’occorso riuscivano a spillare a Iannotta la somma di 600.000 euro in contanti; nei giorni successivi l'imprenditore si metteva alla spasmodica ricerca delle persone responsabili del raggiro da lui subito, unitamente a Natan Aaltomare, Pio Taiani ed altri soggetti,  i quali rintracciavano due presunti complici che venivano minacciati con armi da fuoco, grazie anche la complicità del figlio di Iannotta, all’interno di un capannone della Akros Holding, società londinese a quest’ultimo riconducile».
Le ricerche finalizzate a disvelare gli autori della frode proseguivano parallelamente attraverso «l’acquisizione di informazioni da un maresciallo dei carabinieri all'epoca in servizio presso il Nucleo Operativo della Compagnia di Terracina, che effettuava abusivi accertamenti presso la banca dati SDI in uso alle forze di Polizia».

Il ruolo di Sessa
In tale contesto, emergeva anche la figura del colonnello dei Carabinieri Alessandro Sessa, con un passato anche a Latina, «il quale si faceva promettere utilità dallo stesso Iannotta - spiegano gli inquirenti - per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio consistenti nella rivelazione di notizie ed informazioni tecniche sulle modalità di attivazione e disturbo della registrazione delle intercettazioni ambientali da parte della Polizia Giudiziaria, partecipando ad incontri  finalizzati ad assumere informazioni su procedimenti penali in corso».

Il rapporto con i clan
«Profilo particolarmente caratterizzante la personalità criminale di Luciano Iannotta si è rivelato altresì quello relativo alla sua capacità di relazionarsi con appartenenti al mondo della criminalità organizzata - spiegano gli investigatori della Mobile - che emergeva in particolare grazie al contributo offerto da due collaboratori di giustizia appartenenti al clan Di Silvio, ovvero Renato Pugliese e Agostino Riccardo, che consentivano di accertare la consumazione di un'estorsione aggravata dal metodo mafioso in danno di un imprenditore locale, delitto consumato proprio su mandato di Iannotta e mai denunciato».Nella circostanza i collaboratori riscuotevano per il loro interessamento la somma di 2650 euro, che incassavano da I.
per il tramite di Franco C., titolare di un’attività commerciale sita a Latina, il quale nell’occasione emetteva una falsa fattura.

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