Latina, la faida degli indiani: uomo ucciso a sprangate, nove arresti

Latina, la faida degli indiani: uomo ucciso a sprangate, nove arresti
​Latina, la faida degli indiani: uomo ucciso a sprangate, nove arresti
di Vittorio Buongiorno e Laura Pesino
Sabato 30 Aprile 2022, 07:25 - Ultimo agg. 2 Maggio, 14:10
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Festeggiava la nascita del figlio nel cortile di una casa di campagna con parenti e amici. Tutti braccianti. Riuniti una sera di fine ottobre a Borgo Montello, zona agricola alle porte di Latina famosa purtroppo più per la sua discarica di rifiuti che per i frutti dei suoi campi. Sorrisi, abbracci, quella sera. Poi un grido senza appello: «Ammazzateli tutti». E la festa virò in tragedia.


Il padrone di casa restò a terra, morto. «Era una spedizione punitiva, pianificata e organizzata nel dettaglio» spiegano oggi gli investigatori della Squadra Mobile di Latina guidata da Giuseppe Pontecorvo.

Il bersaglio era Sumal Jagsheer, 29 anni, padre del neonato. Fu trovato in un lago di sangue in una stanza della casa e morì poche ore dopo in ospedale.

 

La voce che aveva urlato facendo irruzione nel cortile era invece quella di Jiwan Singh, conosciuto da tutti e temuto nella comunità indiana per la sua violenza. Fu fermato pochi giorni dopo e accusato dell’omicidio. Ieri l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giuseppe Cario gli è stata notificata in carcere. Con lui sono stati arrestati altri 8 indiani, sono i complici, il braccio armato di quell’uomo che aveva terrorizzato la comunità indiana che vive in questo fazzoletto di agro pontino. Ieri la Procura di Latina, guidata da Giuseppe De Falco, gli ha contestato anche una rapina violenta in un negozio che vende merce ai suoi connazionali. Era così che spargeva il terrore, «Quello che è accaduto a Borgo Montello dimostra come sia in atto una vera e propria spartizione del territorio tra gruppi contrapposti di indiani che in questo caso è sfociata nell’omicidio». È l’analisi che fa Marco Omizzolo, ricercatore Eurispes che da anni si occupa delle condizioni dei lavoratori indiani sul territorio pontino. «È una guerra per ottenere la supremazia ed il controllo di parti del territorio - spiega - il governo di attività commerciali. Parliamo della gestione di negozi che vendono prodotti destinati quasi esclusivamente alla comunità indiana, di attività che si occupano della gestione delle necessità e dei bisogni di questo gruppo di stranieri». 
Quella sera i picchiatori erano armati di mazze di ferro e bastoni, ma avevano anche una pistola da cui partirono almeno quattro colpi. Sumal viene colpito con una spranga di ferro alla testa, morirà dopo alcune ore di agonia. I suo amico, probabilmente il secondo obiettivo del commando, viene ferito a sprangate fino ad avere gambe e braccia fratturate. Motivo? La vittima si era da poco allontanata dal gruppo capeggiato da Jiwan e l’azione pianificata nei suoi confronti era una ritorsione. Lo schema, secondo gli inquirenti era semplice: quell’affronto non poteva essere tollerato. «Non si stanno mai buoni - dice uno dei componenti della banda parlando dei fuoriusciti mentre non sa che viene intercettato - prima o poi questa cosa doveva accadere». 
LE AGGRESSIONI PRECEDENTI
Dalle carte dell’inchiesta del sostituto procuratore Marco Giancristofaro emerge l’operatività di una banda che «in modo non occasionale» era capeggiata da Jiwan. Oltre ad aver rapinato poche settimane prima un altro connazionale con una brutale aggressione, aveva anche in un’altra occasione colpito il gestore di un negozio di generi alimentari, anche lui cittadino indiano, al quale erano state spezzate le gambe per indurlo a cedere la sua attività. A queste regole e a questo clima di terrore evidentemente aveva deciso di non sottostare Sumal Jagsheer che ha pagato con la vita la sua ribellione. Alla cena aveva partecipato anche Singh Gurmukh, presidente della comunità indiana del Lazio, scampato solo per poco all’irruzione della banda perché si era allontanato dalla festa poco prima.
È lo spaccato della difficile vita dei braccianti indiani, costretti a lavorare dalla mattina alla sera con paghe spesso da fame, costretti a sopportare molte volte insulti razzisti e perfino aggressioni a sfondo razzista, come i due braccianti che qualche decina di chilometri più a sud diventarono bersaglio di un tirassegno con un fucile lungo la Pontina. Eppure i tanti Sumal che vivono in terra pontina chiedono solo di poter vivere e lavorare con dignità

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