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L'atroce follia del carabiniere napoletano: «Gino è crollato senza Martina e Alessia»

di Nico Falco
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 1 Marzo 2018, 07:11 - Ultimo agg. : 15:24
4 Minuti di Lettura

Traversa privata Casilli, a pochi passi dal Corso Secondigliano. E' qui che è cresciuto Luigi Capasso, il carabiniere in servizio a Velletri che, ieri mattina, ha ferito gravemente la moglie e ucciso le sue due figlie prima di suicidarsi. In questa strada abitano ancora i genitori. Giuseppe, dipendente comunale in pensione, e la moglie Nunzia, che hanno seguito a distanza quell'orrore che non si sarebbero mai aspettati, fino all'epilogo tragico. «Lasciateci da soli col nostro dolore», si limitano a dire attraverso al citofono. Una famiglia perbene, a detta di parenti e amici che, per tutto il pomeriggio, sono arrivati in visita per cercare di portare un minimo di conforto dopo la tragedia. E anche chi conosceva Luigi Capasso non riesce a credere che abbia potuto fare una cosa del genere. In molti sapevano che il suo matrimonio stava naufragando e che di questa situazione soffriva molto, ma credevano si sarebbe trattato di una fase passeggera per quanto dolorosa.
 


«Me lo ricordo ancora, Gino, quando giocava sotto la mia finestra da piccolo e la madre lo chiamava dal balcone dice una donna che abita nella traversa sono brava gente. L'altro figlio, o dottore, fa il radiologo in ospedale e anche la figlia lavora. Gino, poi, ha la stessa età di mia figlia, sono cresciuti insieme. Lo abbiamo visto l'ultima volta la settimana scorsa, quando era tornato a Napoli per fare visita ai genitori. Sempre tranquillo. Sapevamo che con la moglie le cose non andavano bene, ma lui sembrava sempre il solito Gino: un ragazzo a posto, lavoratore. E poi era 'na guardia, chi se lo sarebbe mai aspettato? Chissà cosa gli è passato per la testa in quel momento».
 
I lati più nascosti di questa storia, però, forse li conoscevano soltanto le persone direttamente coinvolte e i più stretti familiari. Nessuno infatti fa cenno a quello che poi è emerso nelle ore successive alla tragedia. Ai tentativi di lui di riavvicinarsi e alle richieste di aiuto di lei alle forze dell'ordine, che di quell'uomo aveva ormai paura. Le cose erano precipitate a settembre, quando il carabiniere aveva aggredito la moglie davanti allo stabilimento della Findus, dove lei lavorava. Dopo quell'episodio aveva lasciato la casa coniugale. Antonietta Gargiulo, spiega il suo avvocato, Maria Concetta Belli, aveva presentato un esposto in Questura ma non una denuncia perché temeva di mettere a rischio il posto di lavoro del marito. In seguito c'erano stati dei tentativi di riavvicinamento, ma tutti inutili. Anzi: la moglie si era rivolta nuovamente alla Polizia chiedendo di intervenire per far cessare telefonate e messaggi e chiedendo che Capasso rimanesse lontano da lei e dalle figlie. Nelle settimane successive la situazione non era migliorata tanto che agli inizi di febbraio, quando era tornato a Napoli per qualche giorno, era da solo. «Per quelle ragazzine stravedeva dice un amico di famiglia, ancora con gli occhi lucidi era attaccatissimo alle figlie. Con la moglie era in corso la separazione, sappiamo che da qualche tempo aveva anche abbandonato la casa coniugale e dormiva in caserma. Litigavano, questo sì, ma non sappiamo di precedenti gesti violenti. Di certo lui stava molto male perché non poteva vedere le figlie dopo aver lasciato la casa dove vivevano. Non credevamo che potesse arrivare a tanto. Pensavamo che col tempo sarebbero diventati due divorziati con una vita normale, come succede a tante famiglie. Forse la situazione è stata sottovalutata, magari avremmo dovuto dare un maggiore peso a quello che gli stava succedendo, fare più attenzione. Con noi non aveva mai dato segni di squilibrio, credevamo che si trovasse soltanto in un momento difficile da gestire, quando i rancori tra chi si sta separando sono ancora forti. Parlare col senno di poi purtroppo è facile, ma è troppo tardi».

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