Pesca, ristoranti, libri e affari:
la dolce vita dei superlatitanti

Alessio Casimirri
Alessio Casimirri
di Gigi Di Fiore
Martedì 15 Gennaio 2019, 23:00 - Ultimo agg. 16 Gennaio, 06:41
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La vera Mecca è stata Parigi. Vita da latitanti della stagione del terrorismo italiano. Vita da latitanti nell’era della Rete. Oreste Scalzone, mentore e apri pista parigino per tanti ricercati, ha atteso che le sue pendenze fossero nel 2007 prescritte prima di concedersi ai social. Apre un profilo Twitter nel 2016, l’anno dopo la pagina Facebook. Giornalista, scrittore, animatore culturale di incontri in salotti e sedi accademiche, Scalzone è stato un riferimento parigino per decine di latitanti del terrorismo.
 
«All’inizio sono stato aiutato da Scalzone» ha raccontato Manlio Grillo, oggi 77enne, condannato per il rogo di Primavalle in cui morirono i due figli del segretario della locale sezione missina. Grillo vive in Honduras e gli è andata bene, ha afferrato l’opportunità della rivoluzione sandinista diventando insegnante degli otto figli di Daniel Ortega. A Managua lo conoscono come Christian De Seta e la riconoscenza del regime non gli è mancata. Anche il suo compagno nel processo di Primavalle, Achille Lollo, ha scelto il Sudamerica dandosi alla carriera giornalistica. Una firma nel mondo della Rete e di giornali brasiliani come Nacao Brasil, Conjuntura International, Brasil de Fato o del giornale web Correio da Cicadonia. Così avviato da scatenare una polemica quando il suo nome comparve in un intervento sul sito Lantidiplomatico.it registrato da Alessandro Bianchi, collaboratore di Alessandro Di Battista.

Brasile, Honduras, Perù sono Paesi ambiti per le latitanze. Basta avere disponibilità economiche iniziali e intraprendenza. Lo sa bene Alessio Casimirri, 68 anni, che gestisce un ristorante a Managua, «La cueva del buzo», che poi sarebbe il covo del sub. E, su due profili Facebook (ma solo uno è più attivo), Casimirri impazza con le sue foto in muta esibendo grossi esemplari di pesci appena presi. Vita da sub e ristoratore dell’ex brigatista «Camillo» coinvolto nel sequestro Moro e accusato di concorso in omicidio. La latitanza in Sudamerica è però impegnativa, se tra gli attuali latitanti una trentina è in Francia. A due passi dall’Italia, si è creata in 50 anni una colonia in alternanza di ricercati per vicende legate agli anni di piombo.

Narciso Manenti ha ottenuto nel 1987 il no francese alla sua estradizione. Accusato di aver ucciso un carabiniere, 62 anni, è onnipresente sui social: Facebook, Twitter, Instagram per dare visibilità alla sua attività che è poi quella di una società di servizi. Bricolage, giardinaggio, idraulica, elettricista, esperto informatico, con un costo medio a chiamata di 29,50 euro. È un «prestataires de service a domicile». Tutto trasparente dopo la decisione francese di 32 anni fa, anche se la Procura di Bergamo ha ripetuto la richiesta di estradizione. È in Francia anche Giorgio Pietrostefani, 75 anni, accusato di essere mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Deve scontare 13 anni di carcere. Ha un profilo Twitter poco attivo, dove fa commenti sul campionato di calcio italiano. Usa Twitter soprattutto come fonte d’informazione. Come Enrico Villimburgo, ex Br coinvolto nel Moro-ter e nei delitti Minervini e Bachelet, che segue i profili Twitter di Android e Instagram.

Anche Alfredo Ragusi, 68 anni, originario di Ottaviano, ma ex Br della colonna genovese, è conosciuto nel mondo della sinistra parigina. Ristoratore e giornalista, viene definito dalla piattaforma francese Voltaire.net «ex attivista delle Br esiliato in Francia». Scrive su siti poi oscurati, come Amnistia.net animato dallo scrittore Didier Daeninckx. Con il suo compagno delle Br genovesi Enrico Porsia, pure lui a Parigi, Ragusi ha pubblicato 15 anni fa su Le Monde l’articolo «Onore alla Francia, specificità italiana». Era una critica politica alle estradizioni.
 

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