«Lockdown totale», i medici: le terapie intensive al collasso

«Lockdown totale», i medici: le terapie intensive al collasso
«Lockdown totale», i medici: le terapie intensive al collasso
di Mauro Evangelisti
Lunedì 9 Novembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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L’ultimo allarme è dell’Ordine dei Medici: non c’è tempo da perdere, serve un lockdown nazionale, la situazione è fuori controllo. Il professor Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute, ospite di Che tempo che fa: «Questa è una tragedia nazionale annunciata. Abbiamo già un aumento del 10 per cento di morti per infarto e ictus. Se non agiamo ora, avremo morti domani e non riusciremo a curare oggi. Il lockdown in certe aree metropolitane va fatto subito. Io l’avrei già deciso a Napoli».

Cosa sta succedendo? Torniamo al 3 aprile: l’Italia era da meno di un mese in lockdwon, era in un tunnel di paura e incertezza perché stava affrontando un nemico sconosciuto, il coronavirus. Nei reparti di terapia intensiva quel giorno erano ricoverati 4.068 pazienti. Non ce n’erano mai stati così tanti prima, non ce ne sarebbero stati così tanti nei giorni successivi. Lentamente, il numero da allora cominciò a scendere, fino all’illusione di agosto quando si arrivò a meno di 40 pazienti in terapia intensiva per Covid-19. 

Purtroppo, in pochi mesi tutto è cambiato, anche ieri altri 115 posti sono stati occupati, per arrivare a un totale di 2.749.

Significa, con questo andamento, che tra due settimane supereremo il picco del 3 aprile. Andremo ben oltre a 4.068. Anzi: se la percentuale di incremento sarà simile a quella dell’ultima settimana - attorno al 4-5 per cento - in otto giorni raggiungeremo la stessa cifra del picco di aprile. Poiché, però, è stato registrato un lieve rallentamento, prudenzialmente possiamo ipotizzare in due settimane il superamento di quota 4.100. Certo, rispetto all’epoca pre Covid i posti a disposizione sono aumentati (erano 5.179, oggi sono circa 7.000 anche se secondo il commissario Arcuri se ne possono attivare fino a 9.518), ma un impatto di quel tipo è molto pericoloso. I pazienti ricoverati negli ospedali rappresentano il 6 per cento del totale di chi oggi è positivo in Italia. Di quella porzione che necessità di un ricovero, il 9,5 per cento è in terapia intensiva. Dunque, solo lo 0,5 per cento di chi è - ad oggi - contagiato in Italia necessità di un ventilatore: sembra una percentuale piccola, ma se si considera che nel nostro Paese vi sono 558mila positivi, si fa presto a comprendere che il sistema sanitario, per quanto potenziato, non può reggere. Puoi creare la struttura fisica, ma alla fine non avrai un numero sufficiente di rianimatori: non ci sono gli specialisti formati. 

 

Il professore Massimo Andreoni è direttore di Malattie infettive del Policlinico di Tor Vergata di Roma, docente e direttore scientifico di Simit (Società italiana malattie infettive e tropicali). Osserva: «I numeri sono molto chiari, entro due settimane arriveremo a superare il picco di pazienti in terapia intensiva di aprile. Tenga conto che nei miei due reparti di Malattie infettive, ad esempio, abbiamo pazienti di semi-intensiva, con respirazione assistita grazie al casco. Ovviamente hanno comunque una assistenza di altissimo livello, ma si tende, per quanto possibile, a non ingolfare le terapie intensive. Anche ipotizzando di allestire più posti, non sapremmo a quali professionisti rivolgerci. I rianimatori non si creano dal nulla». Cosa succederà tra due o tre settimane? «Saremo in una situazione drammatica, non riusciremo a gestire un numero così alto di pazienti di terapia intensiva». Ad aprile più della metà dei ricoverati in rianimazione era concentrata in tre regioni - Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna -, oggi la distribuzione è differente, più omogenea in tutto il Paese. «Aggiungerei - osserva il professor Andreoni - un altro ragionamento. Quando raggiungemmo il dato di 4.068 ricoveri in terapia intensiva eravamo già da qualche settimana in lockdown. Eravamo in una situazione in cui sapevi che, prima o poi, ci sarebbe stata una frenata, noi operatori vedevamo uno spiraglio, perché eravamo consapevoli che gli effetti delle chiusure sarebbero arrivato. Ci dicevamo: resistiamo, la situazione migliorerà. Oggi questo spiraglio non lo vediamo. Siamo molto più angosciati. Le restrizioni messe in campo stanno solo rallentando l’aumento dei contagi. Le chiusure decise nell’ultimo Dpcm sono arrivate troppo tardi, andavano bene quando eravamo a 20mila casi al giorno, non oggi che siamo a 40 mila».

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E da tutte le regioni partono segnalazioni di situazioni di emergenza. In Sicilia un medico del Policlinico di Catania ha raccontato: «Ci sono ambulanze incolonnate per ore, l’area Covid è satura costretta ad accettare oltre la propria capienza per il bene dei pazienti. Imploderemo». Un servizio della tv regionale Tgs denuncia che all’ospedale civico di Palermo sono parcheggiati al pronto soccorso 54 pazienti Covid e stanno mancando le fonti di ossigeno. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in una lettera al premier Conte e al governatore Musumeci afferma: «Se è vero che nei pronto soccorso manca l’ossigeno e che nei reparti ospedalieri si è cominciato a scegliere quali pazienti provare a salvare e quali no, si prefigurano scenari da “medicina di guerra”». Il Movimento 5 Stelle siciliano ha chiesto l’invio di ispettori del Ministero della Salute. La Regione Sicilia ha smentito che manchino ossigeno e posti letto. 

Altri esempi. In Puglia l’Ordine dei Medici spiega: «Con il trend di crescita costante, all’Immacolata rischiamo di avere 400 morti e la saturazione dei posti letto Covid». L’Umbria sta allestendo un ospedale da campo a Perugia e chiederà aiuto alle Marche per le terapie intensive. Ma anche le Marche sono sotto pressione. In diversi ospedali di Napoli situazione simile, con lunghe file di mezzi di soccorso e pazienti assistiti a bordo. Il Piemonte è allo stremo. Alessandro Stecco, professore universitario e medico dell’ospedale di Novara, esponente della Lega, lancia un appello alle Ong: «Dirottate personale sanitario dai vostri ospedali all’estero verso il Piemonte. I posti letto e soprattutto il personale si stanno esaurendo. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti».

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