Mafia a Roma, dalle ‘ndrine agli albanesi: ecco chi comanda nella Capitale. Ogni clan il suo feudo per cocaina e usura

La droga arriva nella Capitale importata dai calabresi, le alleanze sono trasversali

Dalle ‘ndrine agli albanesi, ecco chi comanda a Roma. Ogni clan ha il suo feudo per cocaina e usura
Dalle ‘ndrine agli albanesi, ecco chi comanda a Roma. Ogni clan ha il suo feudo per cocaina e usura
di Valeria Di Corrado e Camilla Mozzetti
Mercoledì 15 Marzo 2023, 00:12 - Ultimo agg. 16 Marzo, 08:54
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Non è questione solo di affari, sporchi naturalmente. Perché i soldi si alzano sì con il traffico internazionale degli stupefacenti, con l’usura e con l’estorsione. Chi comanda a Roma, e negli anni si è spartito il territorio, è riuscito a farlo anche inseguendo e costruendo un “consenso” nel quartiere dove si vive. Un consenso che passa anche per l’intimidazione e pure per quell’adagio che seguono i più deboli: se ho un problema vado a chiedere aiuto. Non per le vie regolari. L’aiuto poi arriva in cambio di riconoscenza e omertà e il sistema si gonfia e si nutre. ‘Ndrangheta, camorra, “mafie” autoctone e da ultimo la cordata degli albanesi che già dal 2018 hanno iniziato da picchiatori e riscossori perfetti la loro scalata nella mala romana e complici anche gli ultimi “omicidi” eccellenti (di cui non si riescono ad incastrare i mandanti), si sono guadagnati il loro posto a tavola.

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Quindi i feudi con le relative piazze di spaccio, gli equilibri che pure con qualche morto ammazzato si sono sempre difesi.

Almeno fino al pomeriggio del 13 marzo quando a Luigi Finizio - uomo dei Senese - è stata riservata una pioggia di proiettili. Se quell’agguato fosse una “cartolina” indirizzata al clan di camorra trapiantatosi nella Capitale ci sarebbe da preoccuparsi perché significherebbe che l’equilibrio, pure dopo la morte di Fabrizio Piscitelli, è definitivamente saltato. Eppure al momento, in assenza di certezze sull’ultimo omicidio, lo scenario resta quello di una città suddivisa in un “unicum” nazionale: tanti quartieri, tanti clan, cosche e consorterie con la droga in primis a rappresentare il vero e unico motore e tutti che ci guadagnano. Chi sono questi tutti? I loro nomi hanno riempito decine e decine di inchieste. E pure se i “capi” sono morti o sono stati arrestati i “nomi” continuano a vivere. Così a Tor Bella Monaca in quella zona di Roma dove sono state censite almeno 13 piazze di spaccio senza che una sola sia stata ad oggi debellata, i Moccia, i Cordaro, i Bevilacqua, i Longo, gli Sparapano sono tutt’altro che clan e consorterie annientate dalle operazioni di polizia. Tra matrimoni e legami di convenienza “discendenti” e affiliati continuano ad operare per conto e in “nome di”. 

GLI INTERESSI 

Analogamente a San Basilio dove i Marando - che ci partirono da Platì, in provincia di Reggio Calabria - continuano ad essere una potenza, a gestire la droga, a infiltrarsi così come hanno fatto gli Alvaro nel centro storico e poi i Gallace con i Perronace, i Tedesco e i Madaffari sul litorale, nel tessuto commerciale e imprenditoriale di zona. «Le famiglie di ‘ndrangheta - si legge nell’ultimo rapporto sulle mafie nel Lazio - soprattutto nella città di Roma, operano spesso in accordo con organizzazioni diverse, distribuendo sul territorio grossi quantitativi di stupefacente e acquisendo il controllo di aziende in difficoltà prima vessate con condotte usuraie». Esempio? Alfredo Marando è risultato essere, in passato, anche il presidente del “Real San Basilio Calcio” (squadra del girone B, dilettanti-prima categoria). Sempre dall’ultimo rapporto sulle mafie nella Regione: «Non è la prima volta che gruppi dediti al narcotraffico in alcuni quartieri in cui le mafie hanno il controllo del territorio si trovano in interazione con il mondo delle squadre di calcio di quartiere. Era già accaduto a Montespaccato con il clan Gambacurta e al clan Cordaro in merito ad un investimento in una società di calcio in Sardegna». Poi i Senese che, tolto di scena Michele o ‘pazz, continuano a fare il bello e il cattivo tempo in quel di Roma sud-est tra il Tuscolano e il Quadraro con il tentato allargamento anche verso Frosinone e nel basso Lazio. E ancora i Casamonica - forti alla Romanina - i Domizi e i Nicitra a Primavalle, i Primavera al Tufello, i Romagnoli e i Pelle al Casilino, gli Spada a Ostia insieme ai fedeli di Marco Esposito (detto Barboncino e passato a miglior vita in un centro di disintossicazione) fino agli albanesi. I due più pericolosi, ovvero Ermal Arapaj ed Elvis Demce, sono stati “assicurati” alla giustizia ma questo stando alle risultanze investigative non ha frenato quel crescente attivismo criminale impiantatosi a Roma dal “Paese delle aquile”.

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