Non solo pistole, mitra e tritolo: ​così le mafie investono in Borsa

Non solo pistole, mitra e tritolo: così le mafie investono in Borsa
di Gigi Di Fiore
Domenica 12 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 17:45
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La rivelazione del Financial Times è di pochi giorni fa. Nel pacchetto di crediti nei confronti di alcune Asl, ceduti da un gruppo di aziende per un totale di un miliardo di euro, ci sono anche 400mila euro di un’impresa sotto inchiesta per rapporti con la ‘ndrangheta. Un’operazione finanziaria di factoring, l’acquisto di crediti che le banche poi recuperano anche con obbligazioni, con protagonista anche un’azienda in odore di mafia. La criminalità organizzata fa salti di qualità, ai tradizionali investimenti immobiliari o di esercizi di ristorazione e bar, aggiunge anche gli investimenti finanziari. Secondo ii dati dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata al Nord, «le organizzazioni mafiose, ‘ndrangheta e camorra soprattutto, negli ultimi anni si sono infiltrate in tutti i gangli vitali del sistema economico milanese, dall’Ortomercato a piazza Affari». 

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Secondo le stime della Guardia di finanza, raccolte dalla Commissione parlamentare antimafia, le mafie produrrebbero fatturati medi da 150 miliardi di euro all’anno. Denaro da riciclare e reinvestire. Nel febbraio del 2010 il nucleo di polizia tributaria di Milano concluse le indagini su 18 persone legate alla famiglia mafiosa dei Rizzuto con base nel nord America. I 18 italiani, tutti promotori finanziari e dipendenti di società di intermediazione mobiliare, agivano sui mercati finanziari regolari, sfruttando informazioni privilegiate e false in grado di alterare i titoli quotati alla Borsa di Wall Street e al mercato azionario di Brema e Berlino. Gli investitori italiani favorivano il clan mafioso interessato all’affare. «Gli affiliati del clan trasmettevano direttive per gonfiare e sgonfiare i prezzi dei titoli venduti in Italia» scrisse la Guardia di finanza nel suo rapporto. Un business da 15 milioni di euro, confluiti nei conti correnti in Svizzera. Attività che le mafie riescono ad avviare con la complicità di professionisti e colletti bianchi. Commercialisti e mediatori finanziari. Il 17 gennaio di tre anni fa, il tribunale di Napoli condannò due commercialisti che avevano fatto da mediatori di un clan camorristico nell’investimento di denaro in fondi stranieri. Ha scritto Pino Arlacchi, già docente e sociologo: «Spesso il ruolo dei finanzieri d’avventura si limita al trasferimento del denaro all’estero e al suo deposito su conti sicuri in paradisi fiscali. Altre volte aiutano a trovare investimenti redditizi». Il caso di Giuseppe Lottusi, amministratore della società Interpart Finanziaria, appare emblematico. Insospettabile uomo d’affari milanese, riciclava denaro per il clan Madonia di Palermo, investendo anche nelle borse di Londra e Francoforte. I magistrati palermitani lo definirono «un vero esperto finanziario e bancario, inserito in società di intermediazione finanziaria». Secondo gli inquirenti siciliani, Lottusi investì in attività finanziarie un totale di sette milioni di dollari, depositati in istituti bancari in Svizzera, Gran Bretagna, Lussemburgo, Panama.

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Le Procure e la Guardia di finanza si affidano alle segnalazioni dell’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia, diretta da Claudio Clemente. Lo scorso anno, le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio sono state 105.789 per un valore di 91 miliardi di euro, che erano il 7,9 per cento in più dell’anno precedente. Nei primi quattro mesi di quest’anno, quando l’Italia era in lockdown, le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette erano già 35.927. La pandemia non ha fermato le mafie. Analizzando i sequestri giudiziari disposti, la Cgil Lombardia ha esaminato in percentuale i settori su cui si riversano gli investimenti mafiosi. La finanza è ancora residuale, con il 2 per cento in Campania, il 5 per cento in Piemonte, il 3 per cento in Lombardia e l’11 per cento in Emilia. Per avere un significativo termine di paragone, basti pensare che in Sicilia gli investimenti mafiosi nelle costruzioni sono il 45 per cento e la finanza solo l’un per cento. Dice il procuratore aggiunto della Procura nazionale antimafia, Giovanni Russo: «Gli investimenti mafiosi nella finanza è un fenomeno in aumento, monitorato dal molte Procure che hanno diverse inchieste in corso. C’è un disinvolto uso di Internet, lo sfruttamento anche delle scommesse online e spesso anche l’utilizzo dei Bitcoin come moneta più facilmente occultabile e meno tracciata».
 


«La più grande operazione contro la criminalità finanziaria americana» la definì Mary Jo White, procuratorice generale di New York 5 anni fa. Coinvolti 57 brockers, 12 consulenti, 30 manager di società quotate in borsa, un gestore di fondi di investimento che, secondo l’accusa, avevano operato per nome e conto di mafiosi che arrivavano anche a usare minacce. Internet apre le nuove frontiere dell’internazionalizzazione degli investimenti finanziari. E non da oggi. Nel 1995, fu arrestato a Catania un uomo, Giuseppe Cannizzo, che aveva a disposizione un miliardo di dollari delle famiglie mafiose Santapaole-Ercolano da riciclare via Internet. Le operazioni vennero bloccate in Svizzera. Scrive Umberto Santino, fondatore del centro di documentazione «Giuseppe Impastato»: «L’inchiesta sulla Borsa di New York fu un’indicazione valida. I mercati finanziari sono particolarmente permeabili e il futuro, già iniziato, delle organizzazioni criminali passa per quei paraggi». Fu indicativa l’inchiesta di un anno fa sul riciclaggio di capitali nelle scommesse via Internet, attraverso società con sede a Malta. Era l’operazione «Galassia» coordinata dalle Procure di Reggio Calabria, Catania e Bari, che coinvolse 15 società italiane e 23 estere nel settore giochi e scommesse online. E l’attuale procuratore capo di Salerno, Giuseppe Borrelli, allora coordinatore della Dda napoletana, avvertiva un anno fa: «La criminalità organizzata investe in Borsa, in particolare nei Bitcoin, sfruttando l’anonimato». Su questo, scrisse la Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi nella sua relazione finale: «Il sostanziale anonimato che contraddistingue l’uso dei Bitcoin, come delle altre valute virtuali, nel regolare transazioni di betting o di gaming on-line, ben si presta più ampiamente ad un uso illecito da parte delle organizzazioni criminali e mafiose». Sono le nuove frontiere dei riciclaggi e investimenti mafiosi. Per ora residuali rispetto al tradizionale settore immobiliare, ma sicuramente in sviluppo e più insidiosi.
 

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