«Muschilli», ecco come i bimbi del Sud finiscono nelle grinfie delle mafie

«Muschilli», ecco come i bimbi del Sud finiscono nelle grinfie delle mafie
di Gigi Di Fiore
Lunedì 20 Settembre 2021, 19:42 - Ultimo agg. 25 Marzo, 00:09
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Bruciano presto la loro infanzia. La scuola la vedono di sfuggita e con malavoglia, abbandonandola presto. Sono i minori in balia di gruppi mafiosi, in Sicilia come in Campania, Calabria o Puglia. Minori che spesso non possono essere indagati, perché non hanno compiuto 12 anni. L’ultima operazione dei carabinieri a Catania ne è esempio recente, con un gruppetto di bambini al di sotto dei dieci anni incaricato di prendere i soldi e indicare ai tossicodipendenti il luogo dove ritirare la droga. Minori del degradato quartiere San Cristoforo, utilizzati dal clan Santapaola che fa riferimento al boss Maurizio Zuccaro detenuto all’ergastolo e al 41-bis.

UNA LUNGA STORIA
«Li chiamano muschilli, sono minori non imputabili» scriveva Giancarlo Siani, nel suo ultimo articolo pubblicato sul «Mattino» tre giorni prima di essere ammazzato dai killer della camorra-mafia dei Nuvoletta.

Un articolo di analisi lucida, su quanto accadeva agli inizi degli anni ’80 tra Napoli e provincia, nell’era della sanguinosa guerra di camorra tra cutoliani e clan della Nuova famiglia. Anche allora venivano utilizzato bambini, per incarichi doppi: c’erano i «muschilli», che avevano il compito di consegnare droga a chi l’aveva già pagata, e i «foderi» cui venivano affidate le armi per saltare i controlli di posti di blocco o degli uomini dei clan avversari. Armi poi riconsegnate per l’uso, molto spesso un agguato, una volta superato l’ostacolo.

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Giancarlo Siani raccontava la storia della nonna sessantenne che mandava il nipote dodicenne a vendere eroina ogni mattina nelle strade di Torre Annunziata. Ma, prima di quello del settembre 1985, erano stati individuati altri spacciatori-baby, piccoli in calzoncini corti, dallo sguardo sveglio e la vita conosciuta troppo in fretta, alle prese con tossicodipendenti pronti a farsi consegnare da loro dosi di eroina: nel maggio 1985 nel quartiere Secondigliano; quattro anni prima sempre a Napoli a San Biagio dei Librai dove una mamma aveva reclutato per lo spaccio tutti i suoi tre figli che invece avrebbero dovuto andare a scuola media.

NON SOLO NAPOLI
La vicenda di Catania dimostra che i baby-spacciatori non sono solo strumento dei clan della camorra. Un dossier dell’associazione «daSud» documentò quattro anni fa la spaventosa crescita di minorenni denunciati per reati legati alla droga: in 32 anni, a partire dal 1984, erano passati da 578 a ben 5123. Bambini spesso delle periferie, a Catania, come a Palermo, o dei piccoli centri in provincia di Reggio Calabria, figli di pregiudicati per spaccio di droga o affiliati delle cosche. Un fenomeno anche pugliese. Nel quartiere periferico San Paolo di Bari, sono stati individuati baby-pregiudicati che spacciavano e si addestravano a usare armi. Si legge nel dossier di «daSud»: «Sembra sia solo un rapporto di manovalanza, ma molto spesso è la strada per una progressiva scalata dei baby boss a ruoli maggiori nella cosca». E ha spiegato la sezione distrettuale antimafia della Procura di Bari: «Agiscono soggetti emergenti dei clan, più giovani e meno professionali, animati da una subcultura mafiosa, dotati di notevole spregiudicatezza e pronti a sparare per un semplice sgarro o per dimostrare la propria forza». Nel dicembre dello scorso anno, un altro blitz dei carabinieri individuò un diciassettenne nella cosca catanese, impegnato a vendere droga. E due settimane fa, a Scampia un sedicenne e un diciassettenne furono segnalati alla Procura dei minori per lo spaccio di droga alla Vela gialla. Nell’operazione, i carabinieri sequestrarono 20 grammi di eroina, 25 di cocaina, 15 di crack e 11 di kobret.

IL PALLONETTO
La storia del diciassettenne Emanuele Sibilio, ucciso e diventato un simbolo criminale nella sua zona al centro storico con murale rimosso dopo interventi e pressioni, è fin troppo nota. Baby-gang, paranze dei bambini, sotto i riflettori sei anni fa nel vuoto di capoclan liberi e nella moltiplicazione delle collaborazioni di giustizia. Estorsioni, spaccio, stese dimostrative, motorini, ragazzine estasiate, ostentazione di pistole e tatuaggi nei profili social sono stati le loro espressioni. Baby-gang nel centro storico, come nell’ultima guerra a Scampia tra girati e secessionisti. Baby in carriera, stroncata dall’azione dei magistrati. Mentre, ad alimentare le quattro piazze di spaccio tra il Pallonetto e via Caracciolo, il clan Elia ha fatto ricorso di nuovo ai «muschilli» in versione moderna. Bimbi tra gli otto e i dodici anni, già esperti nel «confezionare le palline» di droga, a portarle a domicilio ai tossicodipendenti. «Zio, ti piace questo lavoro?» chiede in un’intercettazione una piccola undicenne, guardando il parente che confeziona le dosi. Ha spiegato il pm Antonio D’Alessio della Dda napoletana: «Il clan Elia ha fatto un uso costante e quotidiano dei minori per portare a domicilio la droga ai clienti». Una piaga che sembra non sanarsi mai.

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