Mafia Capitale, scontro sul blitz della Bindi

Mafia Capitale, scontro sul blitz della Bindi
di Silvia Barocci
Giovedì 23 Luglio 2015, 06:17 - Ultimo agg. 10:25
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Ha voluto «sgombrare il campo da fraintendimenti», soprattutto quello di voler invadere il campo del governo che entro i primi di ottobre dovrà decidere se sciogliere o meno il comune di Roma per infiltrazione mafiosa. Sta di fatto, però, che la «riflessione» aperta ieri sera dalla presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, una sorta di ”sfida” la rappresenta. Duplice, sotto certi punti di vista.



Perché da un lato la pasionaria Dem chiede al governo di adottare un decreto legge che superi «la semplice dicotomia tra scioglimento o non scioglimento» previsto dalle norme attualmente in vigore e che, per casi come quello della Capitale, preveda una «forma di ”tutoraggio” o assistenza dello Stato» senza che l'ente locale debba essere necessariamente commissariato. Dall'altro lato, invece, tiene testa al Pd che, tramite il capogruppo in Commissione Franco Mirabelli, aveva più volte ribadito l'inopportunità di dibattere (e di votare) su un tema rispetto al quale Alfano non ha ancora riferito in Consiglio dei ministri.



LA TENSIONE

La tensione, del resto, era stata palpabile nel corso di un ufficio di presidenza in Commissione, allargato ai gruppi della maggioranza, durato oltre due ore: favorevoli al rinvio della seduta serale Pd e Forza Italia, contrari Sel e M5s. Assente, per motivi di salute, il capogruppo di Ncd. Il che ha dato la forza numerica alla Bindi di andare avanti perché per sconvocare la seduta era necessario l'assenso dei due terzi dei presenti. «La presidente ci ha assicurato che non entrerà nel merito delle scelte su Roma che spettano esclusivamente al governo», era stato l'ultimo avvertimento di Mirabelli. E così è stato.



Dopo aver letto otto pagine di analisi e proposte di modifica alle norme in vigore sullo scioglimento dei comuni, Bindi ha proposto una road map e cioè che si proceda con «le audizioni del prefetto Gabrielli, di esponenti della classe politica e partitica locale, del mondo delle cooperative e dei responsabili della gestione degli appalti del comune di Roma». Stop. Nessun dibattito (rinviato a una prossima seduta) e soprattutto nessun voto. Il che ha fatto andare su tutte le furie M5S: «alla Commissione Antimafia è stato messo il bavaglio».



IL MESSAGGIO

Nessuna interferenza, dunque, ma un messaggio chiaro che chiama in causa proprio il governo, questo sì: «La legge che regola gli scioglimenti dei comuni per mafia va rivista», ha detto la presidente, e «data l'oggettiva straordinarietà della situazione di Roma, servono strumenti straordinari che il governo dovrebbe adottare, come un decreto legge che traendo spunto dalla situazione romana, introduca strumenti ad hoc per affrontare le difficoltà di Comuni molto grandi». Il caso di Mafia Capitale ha infatti rivelato «una situazione gravissima, se un Comune grande come quello di Roma si mostra fragile e indifeso di fronte a una piccola mafia, un sodalizio criminale che ha occupato spazi rilevanti, condizionando pesantemente l'azione politica e amministrativa», è stata l'osservazione della Bindi.



Ma parlare di ”scioglimento o non scioglimento” di fronte a grandi realtà, a una capitale come Roma, con i suoi oltre 3 milioni di abitanti e una realtà così ramificata e complessa, non è la soluzione. «Serve una terza via», ha spiegato, che metta in campo «una sorta di tutoraggio e di assistenza dello Stato all'ente locale senza che questo debba essere sciolto e commissariato». Per questo bisognerebbe prevedere «una fase di accompagnamento temporaneo per il ripristino dell'amministrazione e della legalità, che non privi un Comune della guida politica ma lo rafforzi».