Mafia Capitale, Carminati: «La mia guerra non è finita. Fanno la fila per ammazzarmi, ma sarà dura»

Mafia Capitale, Carminati: «La mia guerra non è finita. Fanno la fila per ammazzarmi, ma sarà dura»
Giovedì 30 Marzo 2017, 11:27 - Ultimo agg. 31 Marzo, 16:33
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Ancora il passato. La banda della Magliana, il furto al caveau, quel "conflitto a fuoco" («In realtà ci spararono addosso») che hanno reso Massimo Carminati la figura epica della criminalità romana. È il secondo atto dell'interrogatorio più atteso del processo a mafia capitale. Nell'aula bunker di Rebibbia, il 'Nero" torna a rispondere alle domande del suo avvocato, Ippolita Naso. Torna al passato per spiegare che il presente, con l'accusa di 416bis, è solo un equivoco.                   
     

«C'è stato un solo vero capo della Magliana ed era Franco Giuseppucci, abitava a 50 metri da casa mia, eravamo amici. Poi ho conosciuto anche gli altri, erano bravi ragazzi. Ma io con la droga non ho mai voluto avere a che fare. Tutti i pentiti lo hanno escluso. Io non sono una mammoletta, non facevo certo il fornaio». Accusa la stampa, annuncia che «alla fine del processo piazzerà le tende davanti al tribunale civile di Roma» per chiedere i risarcimenti. E torna anche all'aprile dell'81, quando i proiettili della digos gli costarono un occhio. «Lo sanno tutti che non è stato un conflitto a fuoco. Ci hanno crivellato di colpi. A me mi hanno sparato in faccia. L'indagine riguardava fatti che mi sarebbero costati tre anni e mezzo di carcere, ma io non discuto. Erano altri anni. Erano queste le regole di ingaggio. Punto. Non sono andato a lamentarmi, a piagnucolare. Mi sono fatto la mia galera, 40 interventi di ricostruzione. Non mi sono nemmeno costituito parte civile contro gli agenti che hanno aperto il fuoco». Si sente accerchiato, in guerra, Carminati, lo dice apertamente: «La guerra non è mai finita. Io la faccio da solo la guerra, non c'ho bisogno di nessuno. È sempre meglio fare la guerra solo contro tutti che tutti contro uno. Fanno la fila per ammazzarmi, non c'è problema. Ma sarà dura per tutti. Io sono qui al 41bis, fuori c'è il mondo. Io voglio rispondere in questo processo dei reati che mi sono contestati».

L'ultimo affondo è contro il ros dei carabinieri che contro di lui avrebbero
«fabbricato» una prova falsa. Ossia le minacce a Luigi Seccaroni: «È falso che lo incontrai e gli dissi che avrei dato fuoco al suo autosalone. L'anticrimine mi pedinava, sanno benissimo che quel giorno non vidi Seccaroni. Signor presidente, voglio essere un imputato come gli altri». L'esame dei legali va avanti, nel pomeriggio, sarà il turno della procura.

E se Carminati ricorda i tempi passati e i vecchi amici di "lotta", i camerati rispondono. Così oggi in aula, a fianco di Sergio Carminati, fratello del "Nero", siede tra il pubblico Maurizio Boccacci, fondatore di MP, il movimento sciolto nel '93 per la legge Mancino e leader del movimento di estrema destra Militia.

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