Mascherine, speso un milione al mese per tenerle in magazzino. Lo scandalo dei dispositivi di protezione

L’inchiesta su Arcuri e i dispositivi pericolosi: 340 milioni di pezzi da buttare

Mascherine, speso un milione al mese per tenerle in magazzino. Lo scandalo dei dispositivi di protezione
Mascherine, speso un milione al mese per tenerle in magazzino. Lo scandalo dei dispositivi di protezione
di Valentina Errante
Sabato 7 Gennaio 2023, 00:32 - Ultimo agg. 11:59
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A marzo 2022, secondo la struttura commissariale guidata da Francesco Figliuolo, il prezzo superava il milione di euro al mese. Costo che lo Stato ha sostenuto a partire dal 2020 per il deposito delle mascherine sequestrate dalla Guardia di Finanza e inutilizzabili. E se per alcune è stata disposta la distruzione, altre, corpo di reato nei processi per frodi e truffe, non possono essere eliminate. Come quelle del procedimento che vede imputati l’ex commissario Domenico Arcuri, il responsabile unico del procedimento per l’acquisto da parte del struttura commissariale, Antonio Fabbrocini, il giornalista Mario Benotti e altre nove persone (oltre a quattro società). In tutto 338 milioni e 775.287 esemplari «dannosi per la salute». E così, per liberare i magazzini ed evitare anche che si deteriorino i dispositivi di sicurezza, i pm titolari del fascicolo, nel quale vengono ipotizzati reati che vanno dall’abuso d’ufficio alla frode in pubbliche fornire fino al traffico di influenze, al riciclaggio e all’autoriciclaggio, chiedono al gup un incidente probatorio per acquisire definitivamente la prova e distruggerle.

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LA RICHIESTA

«Nel corso del procedimento - scrivono nella richiesta al gup i pm di Roma Gennaro Varone e Fabrizio Tucci - sono stati sequestrati numerosi dispositivi di protezione individuale introdotti in Italia, molti dei quali valutati, all’esito di consulenza svolta nelle indagini preliminari, inidonei all’uso sanitario, ovvero pericolosi per la salute».

In altri casi i dispositivi erano accompagnati da certificazioni risultate, in fase di indagini preliminari, false. Questa la premessa. «I sequestri, nell’ordine dei milioni di unità, 338.775.2871, ingombrano magazzini in varie località italiane, i cui titolari chiedono di liberarli. D’altro canto, il tempo rischia di compromettere l’utilità di una perizia, che dovesse essere disposta, come sembra necessario, nell’eventuale giudizio di merito. La soluzione del codice - concludono gli inquirenti - è quella del prelievo di campioni, per poi procedere alla distruzione delle restanti unità deperibili». Con queste motivazioni viene chiesto l’incidente probatorio, che consisterebbe nel prelievo e nell’analisi dei campioni. Una perizia disposta dal giudice per le indagini preliminari, alla quale potrà partecipare anche la presidenza del Consiglio dei ministri, parte lesa nel procedimento.

LA VICENDA

 Secondo la procura, nell’affare da un miliardo e 25 milioni di euro, pagati dal governo tra maggio e luglio 2020, i mediatori italiani avrebbero incassato provvigioni per 77 milioni di euro dalle società di Hong Kong, ma non sono mai stati menzionati nei contratti. Avrebbero così avviato «un rapporto commerciale con la pubblica amministrazione senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture che procurava», si legge nel capo di imputazione. Infatti, gli oltre 800 milioni di mascherine non erano utilizzabili. Nello stesso periodo, che il comitato d’affari definiva «un’annata straordinaria», gli imprenditori italiani, in primis Vincenzo Tommasi, sarebbero entrati in scena nell’ombra grazie al rapporto privilegiato tra Arcuri e Mario Benotti, l’ex giornalista ora accusato di traffico di influenze e di avere incassato 11 milioni di provvigioni. Non solo: cospicui anticipi, negati alle altre aziende, sarebbero stati pagati prima della consegna e il saldo sarebbe arrivato nonostante i dispositivi non fossero idonei.

LE ACCUSE

Le indagini sono state chiuse, ma la procura non ha ancora notificato agli imputati l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Intanto i pm Varone e Tucci chiedono la perizia per acquisire le prove in vista del dibattimento. 
A rischiare di finire sul banco degli imputati con l’ipotesi più pesante è Antonio Fabbrocini, accusato di frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio, ipotesi, quest’ultima, contestata anche ad Arcuri, per il quale la procura ha invece fatto cadere le accuse di corruzione e peculato. Dalle indagini è emerso che sarebbero state «le relazioni personali privilegiate e occulte» con Arcuri a consentire a Benotti di pianificare in concorso con la moglie, Daniela Guarnieri, e Fares Georges Khouzam, l’affare, ottenendo dal commissario «un’esclusiva via di fatto nell’intermediazione delle forniture, in violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione», nonostante le anomalie dei dispositivi.

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