Matteo Messina Denaro, l'agenda e il lusso nel covo alcova. Negli appunti del boss la paura di morire

L'abitazione risultava intestata ad Andrea Bonafede, il geometra che avrebbe prestato la sua identità al padrino e che ora è indagato

Matteo Messina Denaro, l'agenda e il lusso nel covo alcova. Negli appunti del boss la paura di morire
Matteo Messina Denaro, l'agenda e il lusso nel covo alcova. Negli appunti del boss la paura di morire
Martedì 17 Gennaio 2023, 14:48 - Ultimo agg. 9 Aprile, 23:25
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Un po’ filosofo e un po’ libidinoso. Il Matteo Messina Denaro che non conoscevamo si racconta tra le stanze di quel rifugio che non ha fatto in tempo a ripulire. L’altra faccia del sanguinario stragista è tutta qui, nei tanti frammenti di vita rimasti nel museo della latitanza e di cui nessuno doveva sapere. E quello che forse non si aspettavano neanche i carabinieri, che da anni vivevano dietro a lui, è un boss scrittore e pensatore. E se non sono messaggi in codice, quelli che i militari del Ros hanno letto con stupore tra le pagine di una piccola agendina bordeaux, allora sono pensieri profondi e di cui anche uno invecchiato a pane e violenza può essere capace. Il resto è la prova dell’ossessione machista del sessantenne che si sentiva più potente di tutti: la passione irrefrenabile per le donne, per le quali ha corso anche il rischio di aprire le porte del rifugio in cui sperava di sfuggire per sempre agli ergastoli. L’attività sessuale, dimostrano oggi le perquisizioni, era frequente e le tracce si trovano tutte in camera da letto, nella stanza che si apre alla fine del breve corridoio, oltre la porta in alluminio bianco. Ci sono i preservativi ma ci sono anche molte pastiglie di viagra e questo sicuramente è un dettaglio che il boss di Castelvetrano avrebbe preferito non si sapesse. Ma pure questi sono i segni dell’età e forse della malattia. Lui comunque si consolava così, anche con le foto porno stampate sui calendari appesi alle pareti. 

Il covo in pieno centro abitato

Di tutto quello che si poteva immaginare quando ancora si aspettava che il covo venisse ritrovato, qui, all’uscita di Campobello di Mazara (a soli 8 chilometri dal suo paese natale), non c’è nulla. Non siamo in campagna, ma in pieno centro abitato. A 20 metri da un market, nello stesso stabile di una grande rivendita di saponi e profumi, di fronte a un distributore di benzina e a un negozio di abbigliamento. C’è un viavai continuo, in una strada tra le più trafficate, all’ingresso di una cittadina di 11 mila abitanti ma che fa i conti con gli ingorghi continui. Questa non è una villa ma nel piccolo eremo del sanguinario alla macchia da 30 anni c’erano molti agi. Arredi pregiati, ristrutturazione curata nei minimi dettagli. Abiti griffati, scarpe costose e una scatola piena di documenti sanitari. La casa, lo ha ammesso lui stesso, apparteneva formalmente ad Andrea Bonafede, il geometra che aveva ceduto l’identità al capitalista di Cosa Nostra e che però l’aveva comprata con i soldi del boss, almeno sei mesi fa. Un investimento non casuale, strategico e non troppo oneroso: quindicimila euro che valevano la libertà per l’uomo che temeva di morire nel giro di pochi anni ma che non voleva arrendersi all’idea di passare gli ultimi giorni dietro le sbarre. C’era stata pure una contesa familiare per la proprietà di quell’appartamento al piano terra: una guerra familiare tra il capostipite della famiglia Oddo, quella che ha venduto quella depandance (senza saperlo, dicono loro) al principale complice del super boss, e il marito della figlia, deceduta alcuni anni fa, e che da lì non se n’è mai voluto andare. 
Dell’insolita passione per la scrittura dell’ultimo grande latitante si trova già qualche pagina tra le montagne di fascicoli giudiziari che raccontano la latitanza e le inchieste che sono servite a ridurre la rete di supporto e copertura.

Una lunga corrispondenza, sempre firmata con lo pseudonimo, Matteo Messina Denaro l’avrebbe intrattenuta per almeno due anni, tra il 2004 e il 2006, con Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano e collaboratore dei Servizi segreti morto due anni fa dopo essere stato contagiato dal Covid. 

 

 

La strategia degli 007

Una pagina misteriosa e che sarebbe stata una strategia degli 007 per tentare di avvicinarsi a “U siccu”. Il “caro amico”, in ognuno dei messaggi ritrovati, era stato soprannominato Svetonio, proprio come lo storico dell’antica Roma. Dialoghi non troppo lunghi, nei quali l’imprendibile padrino sfoggiava una certa cultura classica, ma si rammaricava di non essere riuscito a laurearsi. Nei pensierini che oggi i carabinieri hanno ritrovato nella casa di Campobello di Mazara, in un vicoletto a cui non è stato neanche dato un nome e che i postini identificano come “via C/b”, si parla anche di amore. E l’uomo che ordinò spietati omicidi, che fece sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, esprime persino sentimenti da filosofo. Parole dolci, quando scrive della figlia e quando ragiona sulla vita e anche sulla morte. Un incubo che ronzava di continuo nella testa di Matteo Messina Denaro e che l’ha costretto al rischio estremo: fare frequenti viaggi fino a Palermo e a mescolarsi tra i pazienti di una clinica. Perché il medico privato, quello che ha salvato la vita ai boss del passato, contro il tumore che ha fiaccato l’uomo che voleva diventare Diabolik non poteva più farci nulla. 

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