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Messina Denaro dimenticato dall'ex amante: «Non lo vedo da tempo, sono lontana da anni»

Caccia al cellulare usato per i contatti. Lei: «Macché, io uso solo la linea fissa»

Messina Denaro dimenticato dall'ex amante: «Non lo vedo da tempo, sono lontana da anni»
Messina Denaro dimenticato dall'ex amante: «Non lo vedo da tempo, sono lontana da anni»
di Riccardo Lo Verso
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 1 Febbraio 2023, 00:09 - Ultimo agg. : 2 Febbraio, 13:39
4 Minuti di Lettura

«Io? Perché tornate di nuovo da me, ho già scontato quello che mi spettava ai miei tempi. Basta», dice Maria Mesi. E lo specifica meglio la donna che di certo è stata a lungo l’amante di Matteo Messina Denaro e che si sospetta abbia continuato a tenere con lui un rapporto clandestino: «Non c’entro più nulla con la sua vita. Proprio nulla». Il discorso è chiaro: la trentenne che negli anni Novanta ebbe un’intensa storia d’amore con l’ultimo stragista di Cosa nostra, lei stessa dice di essersela lasciata alle spalle. 

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PRESENTE E PASSATO

Oggi che si avvicina ai sessant’anni si mostra infastidita per l’arrivo dei carabinieri del Ros con un decreto di perquisizione. Gli investigatori hanno il forse sospetto che non si debba parlare al passato rispetto alla sua storia tra Maria Mesi e l’ormai ex latitante. Qualcosa potrebbe legare la donna al presente di Messina Denaro. Lei non ci sta. Segue i militari durante la perquisizione di due giorni fa e prova ad allontanare ogni sospetto. Dice di essere «mille miglia lontana» da quel mondo dove incrociò, fino ad innamorarsene, la primula rossa di Castelvetrano. Maria Mesi è di nuovo indagata per favoreggiamento assieme al fratello Francesco. Entrambi hanno scontato una pena per l’aiuto offerto al latitante quasi 30 anni fa. Il fatto che la donna avesse una relazione con Messina Denaro fece cadere l’aggravante di mafia. Lo aveva protetto, è vero, ma solo perché lo amava. I carabinieri sono tornati in questi giorni nella stessa strada in cui nel 1997 fu scoperto il nido d’amore dei due amanti, in una casa di campagna e nella torrefazione che la donna gestisce assieme al fratello. Si portano via computer e telefonini. Non quello di Maria Mesi che dice di non possedere un cellulare: «Uso solo la linea fissa». 

LA FEDELTÀ ETERNA

Gli investigatori cercano tracce di contatti con il latitante. Sospettano che possa averlo aiutato di recente, che a dispetto del tempo che passa Maria Mesi abbia conservato qualcosa della donna che giungeva nell’alcova travisata con «cappello, occhiali e mantella». La soffiata nel 1997 era stata giusta, ma gli uomini della Criminalpol arrivarono tardi. Trovarono film, videogiochi, profumi, cibo, ma del latitante neppure l’ombra. Era riuscito a farla franca, potendo contare sulla rete di protezione di cui godeva la famiglia Guttadauro a Bagheria e dintorni. Maria Mesi lavorava per un’azienda che commercializza pesce di proprietà dei Guttadauro, imparentati con i Messina Denaro. Filippo Guttadauro, che ha sposato Rosalia, una delle sorella di Messina Denaro, faceva da cerniera fra il cognato e Bernardo Provenzano che gli aveva assegnato il numero 121 nel codice segreto con cui celava le identità dei suoi fedelissimi. Al contempo Guttadauro veicolava le lettera d’amore che Tecla, così Messina Denaro si rivolgeva a Maria Mesi, inviava all’uomo a cui ha giurato amore eterno. Non si è sposata, ma potrebbe essere solo una coincidenza della vita. Per lei il padrino corleonese era pronto a tutto. Nel marzo 1994 un uomo di nome Matteo Cracolici aveva denunciato alla stazione dei carabinieri del rione Brancaccio di Palermo lo smarrimento della carta d’identità. Era il documento con cui Messina Denaro riuscì a salire su un traghetto a Brindisi. Destinazione Grecia, per una vacanza insieme all’amata Maria Mesi. 

I NUOVI DOCUMENTI

Con le false identità Messina Denaro ci ha sempre saputo fare. Allora come oggi. Nella sua recente latitanza ha avuto almeno cinque alias. Ha sfruttato l’identità del geometra Andrea Bonafede, arrestato per associazione mafiosa una settimana dopo il latitante, e di altre 5 persone tutte di Campobello di Mazara e tutte incensurate. A loro sono intestati i documenti trovati nel covo. Sui cartoncini originali c’è la fototessera del latitante. Si indaga su chi lo abbia aiutato, senza escludere l’aiuto di una pedina interna alla burocrazia municipale. Nel 2015 e nel 2018 sparirono mille carte d’identità in due uffici comunali di Trapani. L’insolita refurtiva fu recuperata. Magari non tutta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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