Messina Denaro, politica e investimenti: il libro mastro del boss. In paese spuntano covi

In un’agenda bordeaux la contabilità dei ricchi affari del padrino. Anche fuori Sicilia

Messina Denaro, politica e investimenti: il libro mastro del boss. In paese spuntano covi
Messina Denaro, politica e investimenti: il libro mastro del boss. In paese spuntano covi
di Nicola Pinna, inviato a Campobello di Mazara
Venerdì 20 Gennaio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 9 Aprile, 23:23
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La piovra aveva bisogno vitale di sfruttare molte tane. E tutte abbastanza vicine, perché così risultava più facile spostarsi, traslocare, depistare i curiosi, avere i complici vicini e confondersi con chi di quella presenza ingombrante e pericolosa non sapeva assolutamente nulla. L’habitat se l’era scelto accuratamente, il boss dai mille tentacoli: strade strette, rioni semideserti, casette diroccate e cumuli di rifiuti nei paraggi. Non troppo traffico, ma neanche vie silenziose, perché l’uomo che non avrebbe dovuto avere alternative alla cella d’isolamento amava anche andare in giro e sfidare pure così il peso degli ergastoli.

SCENA

In via San Giovanni si rivede oggi una scena quasi identica a quella di via Maggiore Toselli. Un nuovo tassello, al gigantesco puzzle della vita clandestina di Matteo Messina Denaro qui si aggiunge praticamente ogni ventiquattr’ore. Le prove dell’esistenza invisibile del capo indiscusso del mandamento trapanese si moltiplicano grazie al racconto di chi si pente, di chi finalmente trova il coraggio di raccontare ciò che sa e dalle tracce tecnologiche che ora è più facile ritrovare. Un altro rifugio viene alla luce quando è già buio: è il racconto di un traslocatore ad accompagnare i poliziotti. Oltre un vecchio portone in ferro si apre un cortile e oltre a due garage c’è un appartamento vuoto, ma ampio. E qui, secondo gli indizi che gli agenti hanno recuperato prima di far scattare il blitz, che Matteo Messina Denaro ha vissuto fino alla primavera. Fino a quando le sue condizioni di salute non sono precipitate e prima che decidesse di trasferirsi in uno spazio più confortevole, in quella casa all’ingresso del paese e acquistata sfruttando sempre l’identità di Andrea Bonafede. E lì gli investigatori scoprono nuovi e preziosi dettagli. Che di certo non svelerà lui, che già ieri ha dimostrato di voler tenere fede alla linea del silenzio annunciata poche ore dopo essere finito nel carcere dell’Aquila. Nel carcere di Caltanisetta si celebra il processo d’appello contro il boss, accusato di essere mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

E ieri, per la prima volta, l’imputato numero uno avrebbe potuto dire la sua ai giudici, ma nella stanzetta predisposta per il collegamento dal penitenziario non si è presentato. Sedia vuota, niente risposte alle domande di pm e avvocati, meno che meno dichiarazioni spontanee.

DETTAGLI

Silenzio a parte, della vita da fantasma del padrino di Castelvetrano si cominciano a scoprire dettagli finora inimmaginabili. In quello che è sembrato subito un covo-alcova (dove campeggiava anche un poster de Il Padrino) sono già spuntati documenti che l’imperatore del male non ha fatto in tempo a far sparire e che ora rischiano di essere compromettenti. Per tanti. Dopo la ricerca di tutte le tracce biologiche possibili, infatti, i carabinieri del Ros hanno iniziato a spulciare tra le pagine delle carte rimaste incustodite. Le prime curiosità saltano agli occhi dall’agendina bordeaux, dove il boss prendeva appunti e dove sfogava alcuni dei suoi pensieri. Ma oltre alle riflessioni sulla vita e sulla morte annottava anche una specie di contabilità: cifre a molti zeri, entrate e uscite, che raccontano di investimenti e spese che riportano indietro il tempo fino al 2016, cioè a una parte limitata della trentennale esistenza da fantasma. In alcune pagine spuntano alcuni indizi sulla rete delle amicizie e dalla prima analisi fatta dai magistrati i riferimenti, non sempre precisi e non sempre espliciti, sono diretti al mondo della politica locale. Un elenco di nomi e cognomi non c’è ma il contesto agli investigatori è sembrato abbastanza chiaro. Altri elementi imperdibili, e che potrebbero portare le indagini anche molto lontano dal Trapanese, si trovano su una serie di post-it staccati da un tavolo e trasferito negli scatoloni del materiale sequestrato: c’è un elenco di località, quasi tutte lontano dalla Sicilia, e questo secondo i carabinieri potrebbe essere utile per ricostruire spostamenti e gli investimenti fatti oltremare. Ma le interpretazioni della prima ora potrebbero anche essere smentite dalle indagini che si annunciano lunghe e complesse.

PERCORSI

Le altre sorprese sono quelle che ora devono tirare fuori gli agenti della polizia che ieri sera sono arrivati in via San Giovanni, nello stesso reticolo di stradine che collegano la vecchia casa di Andrea Bonafede, l’uomo che al boss aveva ceduto l’identità e la fedina penale, quella della madre anziana, la palazzina della famiglia Risalvato, dove era stato allestito un caveau blindato a disposizione del capomafia e le abitazioni di altri parenti che sono già state perquisite dai carabinieri. Si va a piedi e si arriva a casa di un emigrato che si chiama Giuseppe Pacino: vive da molti anni in Svizzera e qui lo vedono al massimo una volta all’anno. Fuori ci sono i cartelli “vendesi” ma qualcuno fino alla primavera scorsa aveva occupato quella casa al primo piano, che si affaccia su un cortile e ben nascosta da un grande portone in ferro, ci ha vissuto abusivamente. Forse con l’accordo del proprietario, ma di certo senza un contratto, semplicemente perché quell’inquilino ingombrante si chiama Matteo Messina Denaro.

E siccome nella vita del latitante nulla poteva essere casuale, si scopre che questa casa è proprio accanto a quella dell’agricoltore che lo aveva accompagnato in ospedale il giorno della cattura e che dice di non sapere chi fosse l’uomo per il quale ha fatto il tassista. Le spiegazioni di fronte al giudice sono quasi surreali: «Mi ha chiesto quella mattina di accompagnarlo all’alba e io gli ho fatto una cortesia. Me l’aveva presentato Andrea Bonafede, sapevo che era un suo parente. Se avessi saputo che era il latitante non l’avrei accompagnato: solo un pazzo lo avrebbe fatto». La versione non convince il giudice e l’anziano produttore di olio resta in carcere, proprio come chiedevano i pm. Che di lui scrivevano questo: «Nessun elemento può allo stato consentire di ritenere che una figura che è riuscita letteralmente a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia circondata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei rischi connessi. Anzi, proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con i fiancheggiatori abbia in qualche modo contribuito a rallentare la cattura».

STANZE

Adesso bisogna capire anche come Matteo Messina Denaro sia riuscito a occupare la casa di via San Giovanni. La perquisizione della Polizia scientifica, arrivata qui grazie alla confidenza di un uomo che aveva spostato i mobili, va avanti fino a notte fonda. Le stanze ora sono vuote ma gli spazi molto ampi sono stati ben arredati. Perché la primula rossa del Trapanese non voleva vivere in un tugurio: si sentiva un re e pretendeva la sua reggia.

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