Messina Denaro, l'interrogatorio: «Sono un agricoltore apolide. Il mio patrimonio? Non lo dico, mica sono stupido»

Il boss è stato sentito dal gip Alfredo Montalto e dal pm Gianluca De Leo nell'ambito di un procedimento penale in cui il capomafia risponde di estorsione aggravata

Messina Denaro: «Sono un agricoltore apolide. Il patrimonio? Non lo dico, mica sono stupido». L'interrogatorio inedito
Messina Denaro: «Sono un agricoltore apolide. Il patrimonio? Non lo dico, mica sono stupido». L'interrogatorio inedito
Martedì 9 Maggio 2023, 17:27 - Ultimo agg. 10 Maggio, 07:57
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«Lavoravo nei campi, sono un contadino». La mia residenza? Non ce l'ho, da quando il Comune mi ha cancellato sono un apolide». Così il boss Matteo Messina Denaro si racconta al gip di Palermo nel corso dell'interrogatorio di garanzia reso in uno dei tanti procedimenti penali a cui è sottoposto. Un verbale in larga parte omissato dal pm della Dda Gianluca De Leo che ha depositato il primo interrogatorio del padrino di Castelvetrano. «Le mie condizioni economiche? Non mi manca nulla. Avevo beni patrimoniali ma me li avete tolti tutti. Se ancora ho qualcosa non lo dico, mica sono stupido»: dice il 21 febbraio scorso.

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L'interrogatorio

Domande preliminari sulle generalità e sui carichi pendenti a cui il capomafia replica spesso con toni irridenti. «Ha dei soprannomi?» gli chiede il magistrato. «Mai, me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi», risponde il boss che, al contrario di quanto ammette, dai suoi era chiamato U siccu e Diabolik.

Al magistrato che gli domanda quale fosse la sua ultima residenza poi dice: »A Campobello risiedevo da latitante quindi di nascosto, in segreto. L'ultima residenza che ho avuto da uomo libero è a Campobello«. Ma nel merito delle contestazioni e delle domande sui suoi rapporti con gli altri capimafia il padrino non concede nulla gli inquirenti.

 

Il patrimonio

«Voglio rispondere, ma le risponderò su tutto quello che compete la mia persona, sul resto non mi interessa rispondere», anticipa al magistrato chiarendo che non intende accusare nessuno: dai capi di Cosa nostra, che dice di non conoscere, ai suoi gregari, che sostiene di non vedere da anni: come Vincenzo La Cascia, l'uomo che, secondo la Procura, avrebbe consegnato alla figlia di un prestanome, Giuseppina Passanante, la lettera minatoria con la quale Messina Denaro chiedeva la restituzione di un terreno. Vicenda che gli è costata l'accusa di estorsione. Del suo patrimonio il boss non parla. «Non sono stupido», ma ammette di avere beni «se no come avrei vissuto», dice.

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La mafia e l'estorisione

E dell'organizzazione mafiosa? «Non ne ho mai fatto parte - risponde - Quel che so l'ho sentito dai giornali». Sull'estorsione alla Passanante poi nessuna ammissione. «Quale minaccia? Rivendicavo un diritto», fa capire. «Ad un tratto, negli ultimi anni, vengo a sapere che lei (la Passanante, ndr) stava vendendo il terreno. Tra parentesi avevano l'affare concluso sotto prezzo, perché lei che cosa voleva fare, prendersi questi soldi di questo terreno, cioè lo rubava, e pagarsi il mutuo. E avrebbe pagato tutto con i miei beni. Arrivati a un dato punto, questi sono discorsi per me non onesti - racconta al giudice - perché le persone agiscono come vogliono, ma va bene cosi, ognuno poi risponde con la propria dignità delle cose che fa, nel bene e nel male. E allora che cosa ho fatto, l'ho contattata, con una lettera, e gliel'ho firmata, non con pseudonimi, firmato proprio con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti»

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