Migranti irregolari, flop italiano

Migranti irregolari, flop italiano
di Gigi Di Fiore
Martedì 6 Febbraio 2018, 08:13
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Solo l'anno scorso, gli invisibili ufficiali erano 19384. Immigrati senza titoli per rimanere in Italia, a volte senza identificazione certa, ospitati in centri di accoglienza in attesa di un futuro sempre più incerto. Gli invisibili sono i migranti privi di diritto di asilo da rifugiati, fosse pure sussidiario o umanitario, o anche quelli che hanno violato regole e commesso reati, già detenuti. Tutti da espellere.
Su questi migranti senza diritto a restare in Italia, che spesso scompaiono dai centri che li ospitano, si misura il nostro sistema di accoglienza che mostra crepe e si espone a rischi. Un sistema complicato e complesso, dalle tante sigle: hotspot, Cie/Cpr, Sprar, Cas, Cpsa, Cara, Cda. C'è da perderci la testa. In teoria, lo schema sarebbe semplice. All'arrivo dei barconi di migranti, la prima accoglienza è affidata ai quattro hotspot, a Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto. Le prime cure mediche, la prima identificazione spesso difficile per l'assenza di documenti. Nell'emergenza, molti degli arrivati vengono trasferiti nei Cas, che sono centri di accoglienza straordinaria, attivati dalle Prefetture, destinati ad arginare arrivi in eccesso.
Il sistema ordinario sarebbe invece quello dei centri Sprar, gestiti dai Comuni su ripartizione nazionale degli ospiti, che accoglie i migranti pronti, quasi tutti, a presentare domanda di asilo per ottenere il riconoscimento di rifugiato. I nuovi richiedenti sono stati 7937 a novembre scorso e 5816 a dicembre. Le domande vengono esaminate alle commissioni territoriali delle Prefetture, con tempi non rapidissimi calcolati nell'ultimo rapporto sugli Sprar diffuso dal ministero dell'Interno. Passa una media di 252,7 giorni tra la domanda e l'audizione dell'immigrato in commissione. Ce ne vogliono altri 64 per la notifica della decisione che, secondo le statistiche, è all'84 per cento negativa.

 

L'immigrato ha poi 30 giorni di tempo per ricorrere alle sezioni speciali del tribunale che, in media, in ogni distretto si trovano non meno di 700 procedimenti da decidere all'anno. Prima dell'udienza, trascorrono altri 5 mesi e circa altri 100 giorni per la decisione. Al termine di tutta quest'attesa, che l'immigrato trascorre tra Sprar e Cas, arriva la decisione. Le statistiche dicono che al 49 per cento i ricorsi sono accolti. Le percentuali di dicembre sulle commissioni territoriali, invece, parlano del 61 per cento di «dinieghi».
L'attesa di quasi due anni nei centri di accoglienza non è certamente facile. Anche nei centri di seconda accoglienza, come sono gli Sprar, attivati in ex alberghi e immobili privati, gestiti, dopo un concorso pubblico bandito dai Comuni, da associazioni no profit. I dati ministeriali, fermi allo scorso aprile, parlano di 25743 ospiti nel sistema Sprar di cui circa duemila sono minori non accompagnati. I progetti Sprar, in quella data, ma la situazione non è molto cambiata, erano 638 e coinvolgevano 544 Comuni.
L'anomalia è invece tutta nei Cas, in uno erano ospitati parte di quei 20 migranti che a Macerata il sindaco Romano Carancini ha considerato causa di uno «stato d'animo mutato verso gli immigrati». Sarebbero centri di accoglienza straordinaria ma, secondo un dossier dei radicali, «sono diventati la regola». Il motivo? Si legge in quel rapporto: «Da una parte costruisco una pratica virtuosa ma volontaria con i Comuni, dall'altra, visto che molti Comuni non collaborano e comunque devo sistemare tutti i migranti in arrivo, attivo un sistema di accoglienza parallelo». E così i Cas, gestiti da enti non profit ma anche profit su affidamento diretto delle Prefetture, restano la sola certezza del sistema.
Un anno fa, il sistema complessivo di accoglienza italiano censiva 175.550 migranti. Di questi, 14750 erano nelle strutture di prima accoglienza, 23822 negli Sprar e ben 136.978, pari al 78 per cento, nei Cas che sono ottomila in tutt'Italia. Facile capire che, come spesso accade in Italia, il sistema alternativo di emergenza è diventato la regola. Lo scorso luglio, il ministro Marco Minniti, intervenendo su questi temi in Parlamento, spiegò che erano quasi cinquemila i Comuni italiani che si sono chiamati fuori dai progetti Sprar. Anche se il nostro sistema di accoglienza migranti è costato nel 2016 circa 2,5 miliardi di euro, l'anno dopo tra i 2,9 ai 3,2 miliardi.
«Più Sprar, meno Cas» è lo slogan del ministero. E dallo scorso aprile, è in vigore il decreto Orlando-Minniti. Ha eliminato il ricorso di appello nelle procedure di richiesta asilo e ha trasformato i Cie, originari centri di accoglienza per i migranti da espellere, in Cpr. Cosa significa il cambio? Lo ha spiegato in Parlamento il prefetto Gerarda Pantalone, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione: «I Cie erano sei, poi ne sono rimasti aperti quattro per 359 posti; i Cpr saranno uno per ogni regione e a regime ospiteranno 1600 migranti». Sono al lavoro le commissioni tecniche per realizzarli. In Campania, il Cpr sarà a Santa Maria Capua Vetere per una capienza di 150 posti. In quell'occasione, il prefetto Pantalone ha fornito anche cifre di costi: «Nel documento economia e finanza, per il fenomeno migrazioni sono previsti da un minimo di 4,2 miliardi per uno scenario normale ad un massimo di 4,6 miliardi per uno scenario in crescita. Cifre da intendere complessive sul fenomeno immigrazione, di cui per l'accoglienza sono destinati 2,8 miliardi».
Il sistema mostra le maggiori crepe quando si deve affrontare il problema dei migranti che non avrebbero diritto a restare in Italia, che devono essere espulsi dopo una detenzione da condanna, o non hanno ottenuto il diritto d'asilo. Numeri in crescita se, secondo il Consiglio superiore della magistratura, solo nel 2016 erano pendenti 51728 procedimenti su ricorsi per «dinieghi» delle commissioni territoriali. A questo dato va aggiunto il numero di detenuti stranieri, pari al 33 per cento della popolazione carceraria totale italiana: 18621 a fine 2016. Tra loro, molti, scontata la detenzione, dovranno essere espulsi.
Sempre nel 2016, le espulsioni dall'Italia sono state un flop. Di fronte a 41473 irregolari, che erano settemila in più dal 2015, ne sono stati espulsi solo 18664. Le ragioni? Assenza di accordi con i paesi di origine, costi eccessivi per i rimpatri forzati. A volte, però, gli invisibili scompaiono dai centri dove sono ospitati in transito. Le norme sono chiare: anche nei centri di accoglienza dei migranti da espellere le condizioni devono rispettare norme precise, che non rendano quei luoghi simili a carceri. E molti si eclissano. Il maggior numero di irregolari ufficiali, pari al 17,4 per cento, è stato individuato in Lombardia, il 14 per cento in Sicilia, a seguire Puglia e Lazio. Si intuisce, però, che i dati ministeriali ufficiali non tengono conto dei non intercettati, mai censiti. Come in provincia di Caserta dove sono concentrati migliaia di immigrati.
Ha dichiarato in Parlamento il ministro Minniti: «Da gennaio a luglio 2017, sono stati rintracciati 25260 stranieri in posizione irregolare rispetto ai 21147 dell'anno precedente. Ne sono stati allontanati 12206, che rappresentano un incremento del 27,52 per cento rispetto all'anno prima. C'è un forte impegno del ministero dell'Interno e del governo italiano affinché cresca il numero dei rimpatri di coloro che non hanno diritto a soggiornare nel nostro Paese. Credo che un sistema di rimpatri forzati contribuisca ad aumentare il numero dei rimpatri volontari e assistiti».
Un nodo delicato, così fondamentale da mettere in crisi il sistema alimentando atteggiamenti ostili agli immigrati. Titolare delle richieste di espulsione resta il questore ed è il Dipartimento centrale di pubblica sicurezza a gestire i dati delle espulsioni. Ha spiegato però il prefetto Gerarda Pantalone: «Nei primi 5 mesi del 2017, tra i migranti espulsi dal territorio nazionale, ce ne erano 5926 respinti alla frontiera, 662 riammessi nei Paesi di provenienza e 2347 rimpatriati». Poca cosa, nell'esercito degli invisibili.
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