​Migranti, boom sbarchi: pesa l’instabilità in Libia

Migranti, boom sbarchi: pesa l’instabilità in Libia
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 27 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 14:55
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I numeri riportano agli anni tra il 2017 e 2018 prima della pandemia, quando l’isola di Lampedusa scoppiava di migranti che sbarcavano in massa. In un solo giorno, sull’isola 29 approdi 872 migranti. Una nuova emergenza, con il centro di prima accoglienza di Lampedusa, su cui la Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta, ormai al collasso per la presenza di circa 1700 ospiti, quando ne può contenere appena 350. Passata la fase acuta della pandemia, riprendono gli arrivi dei barconi di fortuna.

Lampedusa è la punta di un iceberg. Gli ultimi dati ufficiali del ministero dell’Interno, che arrivano a due giorni fa, parlano chiaro. Nei primi 7 mesi di quest’anno, sono arrivati in Italia già 36773 migranti. Nello stesso periodo, erano 27474 un anno fa, mentre nel 2020, anche per l’emergenza pandemia, fino a luglio sbarcarono nel nostro Paese solo 11965 immigrati. In 2 anni, dunque, i numeri si sono triplicati. Indicativi i dati di questo mese, con punte di 1561 sbarchi domenica scorsa. Finora, questo mese di luglio ha il record di sbarchi del 2022: 9140, seguiti da maggio con 8720 arrivi. A marzo, l’arrivo più basso di migranti di questi 7 mesi del 2022: 1358.

Un’impennata quasi imprevista, complice un po’ la fine dei lockdown e la diminuzione dell’allarme pandemia, ma molto lo scricchiolio degli accordi firmati cinque anni fa con la Libia che contribuivano a limitare gli arrivi di barconi clandestini sulle nostre coste. Le statistiche dei primi sette mesi di quest’anno parlano di arrivi in maggioranza di tunisini (6731 migranti), poi egiziani (6059), cittadini del Bangladesh (5893) e afghani (3292), per proseguire con i siriani (2111) e via via altre nazionalità.

Lo scorso anno, si era toccato il record di minori sbarcati senza genitori, né accompagnatori: 10053. Fino al 18 luglio scorso, i minori non accompagnati sbarcati in Italia sono stati 4067. Cifre tutte da interpretare.

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Pochi giorni prima della crisi di governo, il premier Mario Draghi aveva espresso il suo pensiero sull’incremento degli sbarchi di migranti. E aveva lanciato un allarme nella conferenza stampa ad Ankara, dopo l’incontro con il presidente turco Erdogan: «Noi abbiamo limiti e ora ci siamo arrivati. Non possiamo avere un atteggiamento di apertura senza limiti». Era l’inserimento nell’agenda governativa della questione migranti, insieme con la guerra in Ucraina, il Pnnr, l’inflazione, la recrudescenza dei contagi da Covid. E aveva spiegato Mauro Indelicato, esperto di geopolitica: «Le frasi di Draghi sono stata pronunciate ad Ankara non a caso. Con Erdogan, il premier ha discusso anche di immigrazione e senza dubbio il presidente turco avrà fatto sentire il suo ruolo in Libia».

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L’instabilità libica pesa. Gli incidenti di questo mese a Tobruk, accompagnati dal mancato accordo sulle elezioni tra i due presidenti in carica, Abdul Hamid Dbeibah e Fatih Bashagha, rendono il Paese privo di un governo stabile. La comunità internazionale riconosce Dbeibah, ma dietro Bashagha c’è la Russia. E sembra carta straccia il patto su cui lavorò nel 2017 l’allora ministro dell’Interno, Domenico Minniti, che trattò anche con le tribù libiche. Un accordo che, in cambio di aiuti economici, mirava a contenere la partenza di imbarcazioni dalla Libia per le coste italiane. Un accordo rinnovato nel 2020 fino al 2023, ma che sembra ora dover fare i conti con il quadro politico instabile della Libia. Anche per le denunce su soprusi e violenze commesse dai miliziani libici sui migranti in arrivo dai Paesi africani, che alimentano il traffico di esseri umani gestito da organizzazioni criminali. L’accordo fu siglato a Roma dal governo di Paolo Gentiloni e il capo dell’amministrazione di riconciliazione nazionale dello Stato di Libia, Fayez Mustapa Serraj. Vi si leggeva: «In tema di lotta all’immigrazione clandestina, le due Parti promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche». La situazione internazionale in evoluzione ha rimescolato le carte. E l’Europa si trova ora a dover ridiscutere le intese con la Turchia e la Libia per contenere il nuovo afflusso di migranti, in uno scenario complicato dalla guerra in Ucraina. Nei suoi accenni di qualche giorno fa, Draghi confermava la necessità che il tema immigrazione fosse affrontato dall’Unione europea e non dai singoli Stati.

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Che siano necessarie politiche comunitarie lo confermano i dati, raccolti ad aprile di quest’anno, sulle richieste d’asilo presentate nell’Unione europea. Sono state 54145, con un aumento del 66 per cento rispetto all’aprile dell’anno scorso. Germania, Francia, Spagna, Italia, Austria e Olanda i Paesi che, insieme, raggiungono il 76 per cento delle richieste d’asilo. Ancora poco chiara e confusa la situazione dei centri di prima accoglienza in Italia, colti di sorpresa da questa nuova ondata di arrivi. Conferma che, negli ultimi tre anni, con il calo degli sbarchi erano diminuite del 42 per cento anche le presenze di migranti nei centri. Ma la ripresa degli arrivi impone la riapertura di nuovi centri tra i tremila chiusi dal 2018 al 2020. E, c’è da starne certi, nella campagna elettorale in arrivo questo tema di sicuro non mancherà.
 

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