Milano, dipendente 20enne del San Raffaele violentata vicino l'ospedale: fermato un nordafricano, era sbarcato a Lampedusa a luglio

Milano, dipendente 20enne del San Raffaele violentata mentre va al lavoro: fermato un nordafricano, sbarcato a Lampedusa a luglio
Milano, dipendente 20enne del San Raffaele violentata mentre va al lavoro: fermato un nordafricano, sbarcato a Lampedusa a luglio
Venerdì 27 Agosto 2021, 16:24 - Ultimo agg. 28 Agosto, 07:10
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Un uomo è stato fermato oggi dalla Squadra mobile di Milano con l'accusa di aver violentato la mattina del 9 agosto una dipendente dell'ospedale San Raffaele che si stava recando a lavorare. Il fermo è stato eseguito nell'inchiesta dell'aggiunto milanese Letizia Mannella e del pm Rosaria Stagnaro. La violenza ai danni della giovane ventenne è avvenuta in strada nei pressi della zona di Cascina Gobba, non lontano dall'ospedale. Il fermato è un uomo di circa 30 anni, di origine nordafricana. Decisive nelle serrate indagini degli investigatori le analisi delle telecamere e anche il 'match' del Dna.

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Stando a quanto ricostruito nelle indagini, l'uomo, senza permesso di soggiorno e senza precedenti penali, ha visto passare la giovane che, verso le 6.30 del mattino, si stava recando a piedi in ospedale dove lavora e l'ha aggredita, trascinandola in una zona non visibile e chiusa a lato della strada e l'ha violentata.

Si è arrivati, poi, nel giro di pochi giorni al fermo per violenza sessuale perché gli investigatori della Squadra mobile hanno analizzato tutte le telecamere di sorveglianza della zona, frame dopo frame, incrociando questi dati con i tabulati telefonici. Decisivo è stato anche il riscontro ottenuto con le analisi sul Dna, che hanno fornito un 'match' tra quello dell'aggressore e quello che era stato rintracciato.

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Era sbarcato a Lampedusa a inizio luglio

Era sbarcato a Lampedusa all'inizio di luglio l'egiziano di 31 anni che lo scorso 9 agosto ha violentato una ragazza di 25 anni a poca distanza dall'ospedale San Raffaele di Milano, luogo di lavoro della vittima. Gli investigatori della Squadra mobile, diretti da Marco Calì, sono arrivati all'uomo dopo un lungo lavoro di analisi delle telecamere della zona e delle celle telefoniche, riuscendo a individuare il 31enne confrontando il suo dna trovato nel punto della violenza. Alle 6 del 9 agosto la 25enne è arrivata alla stazione della metropolitana di Cascina Gobba e, come al solito, ha imboccato una scorciatoia per raggiungere l'ospedale. Il tratto, sebbene percorso spesso da lavoratori, è circondato da alberi e comprende un'area cantiere. Proprio qui l'uomo ha afferrato alle spalle la ragazza e l'ha trascinata in uno scavo utilizzato come incrocio per le tubature. Dopo la violenza è rimasto ancora qualche minuto sul posto, mentre la 25enne è scappata a lavoro, dove ha raccontato alle colleghe cosa le era successo. Ferita e sotto choc si è rifiutata in un primo momento di rivolgersi alla polizia, ma le amiche l'hanno convinta a presentarsi nel pomeriggio alla clinica Mangiagalli. I medici hanno accertato la violenza e hanno inviato la segnalazione in Procura, che ha dato l'avvio alle indagini della Quarta sezione della Squadra mobile

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Durante il sopralluogo nel punto della violenza la Scientifica ha raccolto materiale biologico, che però non ha trovato riscontro nel database nazionale perché l'egiziano era stato solo fotosegnalato al suo arrivo in Italia. Per individuarlo è stato necessario un lungo lavoro di analisi delle telecamere della zona, al termine del quale è spuntata l'immagine di un uomo col volto coperto da mascherina. A quel punto gli investigatori della Mobile si sono concentrati sulle celle telefoniche, ma l'utenza giusta era intestata a un prestanome e così sono risaliti alla comunità di richiedenti asilo politico, di cui faceva parte anche l'egiziano. L'ultimo tassello è stato il «match» tra dna raccolto e quello prelevato da un suo oggetto. Infine, gli agenti lo hanno fermato stamani in un appartamento in via Tartini, in zona Dergano, dove viveva assieme ad altri dieci stranieri.

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