Timbravano il cartellino in caserma e uscivano a fare la spesa: 23 militari "furbetti" indagati

Timbravano il cartellino in caserma e uscivano a fare la spesa: 23 militari "furbetti" indagati
Timbravano il cartellino in caserma e uscivano a fare la spesa: 23 militari "furbetti" indagati
di Francesco Casula
Martedì 9 Aprile 2019, 09:02 - Ultimo agg. 20:54
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Timbravano il cartellino e poi, senza alcun permesso, uscivano per fare la spesa oppure andavano via con l'auto per tornare a distanza di ore. È quanto emerge dall'ultima inchiesta sull'assenteismo dei dipendenti pubblici coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone che pochi giorni fa ha firmato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari che i militari del Gruppo della Guardia di Finanza stanno notificando in queste ore. Sono 23 i nuovi «furbetti del cartellino» pizzicati dalle fiamme gialle nella caserma «Mezzacapo» dove hanno sede gli uffici di diverse forze armate.

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Per alcune settimane i militari hanno filmato gli accessi della caserma di via Principe Amedeo notando come in molti casi i dipendenti dopo essere entrati lasciavano poco dopo l'ufficio. I militari hanno proceduto con i riscontri acquisendo i registri delle presenze e accertato che nessuno di loro per quei giorni aveva presentato un permesso o un'autorizzazione che consentisse loro di lasciare regolarmente il posto di lavoro. Ma i finanzieri non si sono limitati al controllo dei documenti o ai filmati: in alcuni casi hanno seguito i dipendenti che talvolta si recavano nell'adiacente Mercato Fadini per la spesa. In uno di questi casi le fiamme gialle hanno atteso che una donna finisse le sue compere e poi l'hanno fermata per controllare che fosse in possesso della ricevuta fiscale per gli acquisiti: di tutta risposta la donna si è innervosita con gli investigatori per il tempo che richiedeva il controllo dicendo «Non mi fate perdere tempo che sto lavorando».

Per i militari, insomma, quasi una confessione. Per tutte le persone iscritte nel registro degli indagati l'ipotesi di reato contestata dal pm Carbone è di truffa aggravata. Nel capo di imputazione formulato dal magistrato, l'accusa rivolta a tutti gli indagati è «perché, nella qualità di dipendente del Ministero della Difesa, in servizio presso la Caserma Mezzacapo, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante artifizi e raggiri consistiti nell'essersi in più occasioni allontanato dal proprio posto di lavoro durante il normale orario di servizio, omettendo di timbrare con l'apposito cartellino marca tempo l'orario di entrata e di uscita, in particolare dopo aver fatto registrare la propria presenza, mediante la timbratura del badge personale, si allontanava in maniera ingiustificata dal luogo di lavoro, per periodi intermedi, senza far risultare con analoga marcatura la propria assenza». In quindici giorni di indagini, i finanzieri, hanno individuato soggetti che si sarebbero allontanati in modo ingiustificati quasi tutti i giorni, mentre per alcuni indagati la contestazione riguarderebbe una sola giornata. Non solo.

Per il pm Carbone alcuni degli indagati avrebbero anche falsificato gli orari di uscita: qualcuno di loro, infatti, per l'accusa «provvedeva, in concorso con ignoti, mediante alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza a timbrare il suo badge con orario successivo all'uscita, allontanandosi in maniera ingiustificata dal luogo di lavoro, senza farvi più rientro». In sostanza sarebbe uscito prima timbrando il cartellino, ma facendo risultare comunque un orario successivo a quello effettivo di uscita. Una condotte che per la procura «traeva in inganno il datore di lavoro che gli corrispondeva la retribuzione anche per il tempo in cui lo stesso non era presente nel luogo ove doveva prestare attività lavorativa». Gli indagati avranno ora 20 giorni di tempo dalla notifica per chiedere di essere interrogati o per presentare attraverso i propri legali delle memorie difensive per fornire le proprie giustificazioni. Toccherà poi al procuratore aggiunto Carbone valutare quegli elementi e decidere se chiedere l'archiviazione delle accuse oppure il rinvio a giudizio.

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