Moby Prince, la commissione d'inchiesta: «Impatto provocato da una terza nave»

Moby Prince, la commissione d'inchiesta: «Impatto provocato da una terza nave»
Giovedì 15 Settembre 2022, 20:41 - Ultimo agg. 20:47
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«La collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo è avvenuta all'interno dell'area di divieto di ancoraggio nella rada del porto di Livorno, a seguito di una turbativa esterna della navigazione provocata da una terza nave che non è stato possibile identificare con certezza». È la conclusione illustrata oggi dal presidente Andrea Romano (Pd) alla quale è arrivata la Commissione di inchiesta parlamentare che ha approvato all'unanimità la relazione finale, dopo poco più di un anno di lavoro, interrotto dallo scioglimento delle Camere, sul disastro avvenuto il 10 aprile 1991. A bordo del traghetto diretto a Olbia c'erano 141 persone, 75 passeggeri e 66 membri dell'equipaggio, di cui 22 campani. Tutti morti tra le fiamme, tranne Alessio Bertrand, cuoco di Ercolano, gravemente ferito e a lungo malato. 

«Non abbiamo potuto dare risposte certe sull'identificazione del natante che ha causato la collisione - ha spiegato Romano - perché non ne abbiamo avuto il tempo a causa della fine anticipata della legislatura, ma abbiamo suggerito nella relazione conclusiva due piste da seguire in futuro sia da parte della magistratura e del prossimo Parlamento».

In particolare, ha sottolineato «la presenza di una terza unità navale in movimento ha interferito con la rotta del traghetto e obbligato Moby Prince a una virata a sinistra per evitare una collisione certa con essa, per poi andare a collidere con la petroliera ancorata dove non doveva essere e resa invisibile da un improvviso black out».

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Per individuare la nave che causò l'incidente, la commissione indica due piste: quella che porta alla 21 Oktobaar II, un ex peschereccio somalo, e quella relativa alla presenza di una o più bettoline «che stavano effettuando bunkeraggio clandestino». Del resto, hanno accertato i commissari, la notte del 10 aprile 1991, «la navigazione si stava svolgendo con condizioni di visibilità buona, se non ottima, vento a regime di brezza e mare calmo» e che l'esplosione a bordo del Moby, «è avvenuta dopo la collisione», pertanto negli anni scorsi le ipotesi «di nebbia, di una bomba sul traghetto o di una distrazione del comando della nave» come cause della collisione «hanno contribuito a creare confusione» nell'accertamento della verità. Spetta però alla magistratura stabilire se siano state condotte negligenti o veri e propri depistaggi.

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Tuttavia, ha aggiunto Romano, «la Commissione ha avuto conferma della valutazione, pienamente condivisibile, fatta dalla Commissione senatoriale sul 'comportamento di Eni connotato di forte opacità', riscontrata, in particolare, in merito alla determinazione dell'effettiva provenienza della petroliera, del carico realmente trasportato e delle attività svolte durante la sosta nella rada di Livorno: comportamento, dunque, certamente opaco che questa Commissione ritiene di biasimare». Romano ha anche rivolto un ulteriore appello all'Eni «a rendere pubblici i suoi documenti interni visto che forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti».

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La relazione finale della Commissione ha soddisfatto anche i familiari delle vittime. «Ora - ha detto Luchino Chessa, figlio del comandante della Moby - è necessario scoprire chi è la terza nave che ha causato questo disastro ma anche sapere chi ha messo in atto, da subito, un'azione dolosa per fare in modo che la verità non si scoprisse e che ora invece è più vicina. Spero che anche la procura di Livorno» che ha un'inchiesta aperta così come la Dda di Firenze, e con le quali la Commissione lavorato per la perizia che ha escluso la presenza di esplosivo a bordo, «vada in fondo su questi aspetti, a cominciare da quell'accordo assicurativo che, anche secondo i commissari, puntava a non andare troppo a fondo nelle indagini». Secondo Nicola Rosetti, vicepresidente del Comitato Moby Prince 140, «bisogna trovare i responsabili di quelle menzogne che da subito volevano farci credere che fu la nebbia e una tragica fatalità a determinare la morte di 140 persone».

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