Monia massacrata con un sasso, pena dimezzata all'omicida. I familiari:«Uccisa per la seconda volta»

Monia massacrata con un sasso, pena dimezzata all'omicida. I familiari:«Uccisa per la seconda volta»
Monia massacrata con un sasso, pena dimezzata all'omicida. I familiari:«Uccisa per la seconda volta»
di Stefano Buda
Sabato 18 Maggio 2019, 09:02 - Ultimo agg. 11:43
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Una pena quasi dimezzata, per un omicidio folle e brutale. Giovanni Iacone, l’uomo che l’11 gennaio del 2017 assassinò Monia Di Domenico, non dovrà scontare 30 anni di reclusione, come era stato stabilito dai giudici di primo grado. La Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila ha ridotto la condanna a 16 anni per l’omicidio, aggiungendo un anno supplementare per l’occultamento del cadavere. In tutto 17 anni. Solo uno in più dei 16 colpi alla testa e al viso, inferti con un grosso sasso ornamentale, con i quali l’imputato massacrò la povera Monia. Non pago di quel bagno di sangue, Iacone finì la vittima colpendola alla gola con una scheggia di vetro.

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Un delitto, quello consumatosi nell’appartamento di via Monte Sirente a Francavilla, caratterizzato da rara e lucida ferocia. Non abbastanza, tuttavia, da indurre la Corte aquilana a ritenere sussistente l’aggravante della crudeltà, che invece era stata riconosciuta in primo grado. E’ stata proprio questa valutazione dei giudici, sommata allo sconto di pena previsto per il ricorso al rito abbreviato, a restituire una sentenza che lascia molti dubbi e solleva diversi interrogativi. Una sentenza che, sul piano tecnico, ha certamente una sua fondatezza giuridica, ma che agli occhi di familiari e amici di Monia risulta ingiusta, incomprensibile e inaccettabile. Disperati i genitori della donna. Il padre Aldo, un ex poliziotto di 82 anni, che ha servito lo Stato per una vita e ha sempre creduto nelle istituzioni, oggi non sa più in chi e in cosa credere. La madre Doretta, al momento della lettura della sentenza, si è messa le mani tra i capelli.

«Oggi – si è lasciata sfuggire – è peggio del giorno che è morta Monia». Parole forti, tragiche e significative. Monia è stata assassinata una seconda volta e la parola “peggio” – pronunciata dalla madre - tradisce un dolore perfino più profondo, lancinante e consapevole rispetto a quello provato nei giorni del delitto, quando lo shock e lo sgomento, forse, anestetizzarono almeno in parte pensieri ed emozioni. Ma l’ondata di rabbia e indignazione ha varcato i confini familiari, travolgendo amici e conoscenti della vittima, fino ad approdare sui social network, dove il senso comune si è tradotto in un moltiplicarsi di post e commenti. «Essere riconosciuta dalla mia mamma dalle gambe non può valere 17 anni di galera – si legge in un post circolato su Facebook, inizialmente tra gli amici di Monia e poi condiviso da centinaia di persone -. Essere vestita dalle mie amiche non può valere 17 anni di galera. Essere accarezzata dal mio papà mentre mi si spostava la parrucca che le mie amiche mi hanno sistemato sulla testa sfondata, rasata, aperta non può valere 17 anni di galera. Mi chiamo Monia – è scritto infine sul post – e oggi sono morta per la seconda volta».

Carola Profeta, con l’associazione Noi per la famiglia, si batte da anni sul tema del femminicidio. «E’ una sentenza assurda – dice Profeta – e mi chiedo cos’altro debba fare un assassino affinché sia presa considerazione l’aggravante della crudeltà. La legge che impedisce il ricorso al rito abbreviato per gli omicidi più efferati, approvata di recente, purtroppo non ha valore retroattivo – osserva l’esponente dell’associazione - tuttavia ci aspettavamo una certa sensibilità da parte dei magistrati, come avvenuto ultimamente per casi analoghi, anche meno cruenti».
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