Il Doge mancato della Laguna: così Venezia aspetta il Mose

Il Doge mancato della Laguna: così Venezia aspetta il Mose
di Gigi Di Fiore
Venerdì 7 Agosto 2020, 09:24 - Ultimo agg. 17:11
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C'è chi ha provato a spacciarla per inaugurazione, con tanto di presenze ufficiali e comunicati in pompa magna. In realtà, un mese fa il Mose, acronimo che sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico, la struttura ai tre imbocchi nella laguna di Venezia, veniva solo tastato. Una prova, insomma, alla presenza del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, del ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli, e naturalmente del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Una prova, a 17 anni dalla prima apertura dei cantieri.

TRE LEGGI SPECIALI
Dici Mose e pensi alla mamma di tutte le tangenti venete. Il grande affare voluto e pensato dalla seconda legge speciale per Venezia. Già, perchè tanti conoscono la legge speciale per Napoli del 1904, molti di meno le leggi speciali per salvare un altro patrimonio dell'Italia: Venezia già capitale della storica repubblica veneta fino all'arrivo di Napoleone. La «salvaguardia di Venezia e della sua Laguna» è l'obiettivo della prima legge speciale del 1973 effetto della spaventosa alluvione da acqua alta di sette anni prima. Nel 1984, si raddoppia con una seconda legge speciale, per superare la dispersione di competenze sugli interventi possibili creando un «Comitatone» di più enti. Fa capolino, per la prima volta, il progetto del Mose confermato dalla terza legge speciale, quella del 1992. È il Mose che deve provvedere alla «salvaguardia fisica della città e della sua laguna». Il Mose che deve essere realizzato da un'istituzione ereditata dalla storia della Venezia dei doge: il Magistrato delle acque, rispolverato in Italia nel 1907 e diventato appendice del ministero delle Infrastrutture per tutelare i bacini idrici del Triveneto e della provincia di Mantova. Un ente con sede a Palazzo dei Dieci Savi, che ha competenza sulla gestione della laguna di Venezia e oltre un centinaio di dipendenti. Travolto dalle inchieste sul Mose, viene abolito nel 2014 dal governo Renzi, ma i compiti e il personale vengono trasferiti solo due anni dopo al Provveditorato delle Opere pubbliche del Triveneto.

IL GRANDE PROGETTO
Il Mose viene considerato la soluzione per i problemi di inondazione della laguna, la panacea per salvare Venezia. La seconda legge speciale che lo prevede è del 1984, ma due anni prima era già nato il Consorzio Venezia Nuova, con sede a Roma e soci quattro imprese: Italstrade, Condotte d'Acqua, Grandi Lavori-Fincosit, Mazzi Costruzioni. Erano già pronti e ottennero dal Magistrato delle acque la concessione per realizzare il Mose. Un bel colpo, per un progetto da 5 miliardi e 493 milioni che prevedeva la costruzione di 78 paratoie ai tre imbocchi della laguna di Lido, Malamocco e Chioggia, divise in quattro schiere da alzare quando la marea è superiore ai 110 centimetri. Oggi le stime parlano di spesa finale da 8 miliardi, cui aggiungere 80-90 milioni di euro all'anno per la manutenzione. L'inizio dei lavori, alla presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è del 2003. Dopo 17 anni, le paratie sono pronte, ma occorrono ancora più test di sollevamento e l'ultimazione degli impianti necessari. E un mese fa, la cerimonia sotto i riflettori era proprio uno dei test di prova, mentre l'apertura definitiva dell'impianto è prevista per la fine del prossimo anno. E il dramma del 12 novembre dello scorso anno, con la drammatica acqua alta a Venezia da 187 centimetri, si è verificato con il Mose inattivo.

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Il Consorzio presentò il suo primo progetto nel 1988. Quattro anni dopo, il «Comitatone» lo approvò. Presidente del Consiglio era all'epoca Giulio Andreotti, fine della cosiddetta Prima Repubblica ma non del sistema di tangenti. Nel 1994, anche il Consiglio superiore dei Lavori pubblici diede il suo consenso al progetto sulle 78 dighe mobili indipendenti poggiate su cassoni di cemento da installare sul fondale. Fu l'allora sindaco Massimo Cacciari a fare pressioni per una valutazione di impatto ambientale dell'opera. Era il 1995 e il ministero dell'Ambiente la dispose, dando il suo responso: no all'opera. Niente paura, ci pensò il Tar del Veneto a riportare le cose a posto, annullando la decisione ministeriale. A nulla servirono i dieci progetti alternativi proposti dal Comune di Venezia. Furono tutti bocciati, Cacciari aveva perso. Il Mose non ebbe più ostacoli, lo annunciò ufficialmente nel 2006 l'allora ministro dei Lavori pubblici, Antonio Di Pietro.
 


LA MAMMA DELLE TANGENTI
Tonnellate di sassi, cassoni, un tunnel sotterraneo, una nave creata per sollevare e alloggiare le paratoie, un'isola artificiale dinanzi il lato Lido, un villaggio per gli operai: i lavori proseguirono da allora senza sosta, con il presidente del Consorzio, l'ingegnere Giovanni Mazzacurati, a difendere l'attività delle imprese. Nel 2013, si inaugurò la prima paratoia sul lato Lido-Treporti. Era presente un altro ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, con il sindaco Giorgio Orsoni di area Pd. Ma il 2013 è l'anno delle inchieste, la Procura di Venezia chiede i primi arresti per false fatturazioni. Ne è coinvolto Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, impresa del Consorzio. Parla e coinvolge il presidente Mazzacurati che finisce ai domiciliari per turbativa d'asta. È l'avvio della grande pentola scoperchiata di un enorme sistema di tangenti. Il 4 giugno del 2014, il blitz nell'inchiesta che coinvolge 35 indagati. C'è il sindaco Orsoni, l'ex presidente forzista della Regione Veneto, Giancarlo Galan, l'ex assessore regionale forzista Renato Chiasso. E poi due ex presidenti del Magistrato delle Acque: Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. Un terremoto che investe anche ufficiali della Guardia di finanza, imprenditori, funzionari e l'ex ministro forzista alle Infrastrutture, Altero Matteoli. Si comincia a parlare di «sistema Mose», la mamma di tutte le tangenti e del potere in Veneto. Nell'anno del blitz, su proposta di Raffaele Cantone presidente dell'Anticorruzione, il Consorzio viene commissariato e lo è ancora. Nello stesso anno, viene soppresso il Magistrato delle acque. È un ciclone che scardina incrostazioni di potere.

Il presidente Mazzacurati collabora con i magistrati e descrive il sistema. Morirà in California, dove era per problemi di salute, nel settembre del 2019. L'ex sindaco Orsoni, assolto per una delle 2 accuse, ha depositato ricorso in Cassazione per la condanna prescritta di finanziamento illecito per le elezioni del 2010 ritenendo reato inesistente aver ricevuto in nero 250mila euro da Federico Sutto, ex segretario di Mazzacurati. È morto, tre mesi dopo la sentenza di primo grado del 2017 che l'aveva condannato a 4 anni, l'ex ministro Matteoli. Prescritti i reati per Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato delle acque succeduta a Cuccioletta, accusata di essere stata stipendiata da Mazzacurati. Hanno invece patteggiato le condanne Giancarlo Galan (2 anni e 10 mesi), condannato anche dalla Corte dei conti a restituire 5 milioni e 600mila euro. Patteggiamento pure per Claudia Minutillo (2 anni) ex segretaria di Galan, Piergiorgio Baita (2 anni) e Patrizio Cuccioletta (2 anni) accusato di aver ricevuto 400mila euro dal consorzio per ammordibire i controlli. A lui la Corte dei conti chiede di restituire 2 milioni e 700 mila euro. Corposa la confisca dei beni disposta dal giudice Gilberto Stigliano Messuti: 23 milioni di euro. La Procura di Venezia ha recuperato 38 milioni di tangenti, ma c'è chi stima in 100 milioni il giro di mazzette totali, in parte ancora nascoste all'estero. Hanno scritto i magistrati: «Più cresceva il potere del destinatario più cresceva l'importo delle mazzette, pagate anche quando il pubblico ufficiale o il politico avevano cessato l'incarico. La rendita di posizione prescindeva dal singolo atto illecito».
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