Mps, morte di David Rossi. La famiglia: «La procura non accusi noi per difendersi»

Il primo nella strada in cui è morto David Rossi
Il primo nella strada in cui è morto David Rossi
Sabato 28 Ottobre 2017, 21:27 - Ultimo agg. 21:40
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Continua la polemica sulle presunte indagini mancate a proposito della morte del capo delle relazioni esterne di Mps, David Rossi. Dopo il clamore suscitato da un'intervista "fuori onda" delle Iene all'ex sindaco che parlava della volontà di coprire lo strano suicidio da parte di molti e le risposte arrivate dalla procura, ora è l'avvocato della famiglia del defunto a difendersi: «Appare adesso criticabile addossare una responsabilità a questo difensore perché non avrebbe richiesto o sollecitato l'acquisizione del traffico di celle telefoniche per individuare gli utenti che ebbero ad agganciare il segnale nella zona di via dei Rossi», scrive, rispondendo punto su punto al comunicato diffuso nei giorni scorsi dal presidente del tribunale di Siena Roberto Carrelli Palombi e dal procuratore Salvatore Vitello è Luca Goracci, legale della famiglia di David Rossi.

Dopo aver pubblicato sul proprio sito il decreto di archiviazione, la procura aveva affidato le sue risposte ad un comunicato in dieci punti a cui l'avvocato della vedova Antonella Tognazzi ora controbatte. «Dedurre che dalla mancata richiesta di sequestro degli indumenti i familiari ipotizzassero da subito il suicidio - scrive in una lunga nota Goracci - contrasta con un dato eclatante in quanto furono gli stessi familiari ad insistere perché venisse disposta l'autopsia non credendo all'ipotesi del suicidio». Così come sui biglietti di addio ritrovati nel cestino dell'ufficio di Rossi «non vi è assoluta certezza in ordine alla datazione ovvero al momento in cui tali biglietti possano essere stati materialmente scritti», prosegue la nota nella quale Goracci si sofferma anche sulla consulenza psichiatrica forense sostenendo che «non afferma e non avrebbe certo potuto farlo, che di suicidio si sia trattato».


Ci sono poi, continua l'avvocato Goracci nella sua lunga replica alla procura, i fazzoletti di carta con le macchie di sangue rinvenuti nell'ufficio di Rossi, rispetto ai quali i capi degli uffici giudiziari di Siena avevano sottolineato che le macchie potrebbero essere dovute ai tamponamenti su una ferita sul labbro inferiore o «una più vecchia ferita ai polsi».
Secondo il legale «un esame avrebbe potuto accertarlo» e che «se fossero stati utilizzati per tamponare le ferite sul labbro del Rossi, essendo i fazzolettini stati rinvenuti nel cestino, il Rossi non avrebbe potuto procurarsi tali ferite durante lo strusciamento nella finestra e nella parete, in un ipotetico tentativo di risalita non essendo rientrato nella propria stanza una volta 'appesò alla finestra». Infine la presunta caduta dell'orologio «considerato che sono stati abbassati i calzini, dei quali è ricordato addirittura il colore per il posizionamento degli elettrodi - conclude Goracci - chi materialmente eseguì l'operazione, non può non aver visto il cinturino» e «appare impensabile che non abbia visto la cassa dell'orologio».
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