‘Ndrangheta e il recupero oggetti rubati: così si sostituisce allo Stato

I Farao-Marincola garantivano la “sicurezza” in cambio di favori al clan

‘Ndrangheta e il recupero oggetti rubati: così si sostituisce allo Stato
di Antonio Crispino
Venerdì 17 Febbraio 2023, 00:16 - Ultimo agg. 19:31
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CROTONE - L’importanza dell’operazione anti ‘ndrangheta di giovedì mattina non è data dal numero delle persone arrestate (31, di cui 26 in carcere e 5 ai domiciliari), dai militari impiegati nell’inchiesta denominata “Ultimo atto” (150) e nemmeno dai capi di imputazione: associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e traffico di armi ed esplosivi. Bensì da alcuni episodi che raccontano bene come la locale di Cirò in Calabria aveva il completo controllo del territorio.

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Recupero oggetti rubati

Aveva creato una struttura parallela alle istituzioni repubblicane che per alcuni cittadini (non risultati affiliati ad alcun clan mafioso) aveva più credibilità ed efficacia dello Stato stesso.  Così succedeva che coloro che avevano subito un furto d’auto o il danneggiamento di una proprietà ritenevano più opportuno rivolgersi al clan “per avere giustizia”.

Nessuna denuncia a carabinieri o polizia, bastava recarsi a casa di un affiliato se non addirittura del capobastone per i casi più complicati da risolvere. Quello che Edoardo De Filippo aveva inscenato nella rappresentazione teatrale “Il sindaco del rione Sanità”, a Crotone era una realtà. Il boss come punto di riferimento di un mondo che non ha nulla a che vedere con l’associazione mafiosa ma che ritiene quest’ultima in grado di fargli ottenere una giustizia più rapida. Una pseudo giustizia, in realtà, che aveva un costo, anche abbastanza elevato. La ‘ndrangheta non si faceva pagare in denaro ma in favori: una mano lava l’altra, tutte e due lavoravano per i Farao - Marincola.

E’ quello che accade quando a un piccolo imprenditore agricolo vengono danneggiati alcuni furgoni e rubati attrezzi per il lavoro in campagna. Non sporge denuncia alle forze dell’ordine ma si rivolge ai luogotenenti del clan. In poco tempo gli viene restituita l’auto. «I furgoni sono utili per il trasporto di droga - spiega il tenente colonnello Angelo Pisciotta, Comandante del Reparto Operativo di Crotone -. Il ragionamento della ‘ndrangheta è diverso da quello di camorra e mafia: io ti faccio un favore e tu ne fai un altro a me. In questo caso l’organizzazione malavitosa trae più vantaggio dal trasporto di droga che non dal pagamento di una tangente, anche perché si tratta di persone incensurate». Cittadini comuni, insomma, come quello che subisce il furto in casa e invece disporgere denuncia bussa a casa della mafia per riavere i beni rubati; c’è anche un impiegato comunale che fa ricorso alla benevolenza del malavitoso perché gli hanno incendiato l’auto e chiede di «stare tranquillo»; c’è un piccolo imprenditore che non riesce a riscuotere un credito da diverso tempo e sollecita la ‘ndrangheta affinché si occupi di incassare quello che gli spetta; c’è il gestore di uno stabilimento balneare che chiede la protezione del clan per evitare disordini fuori al suo locale; c’è il proprietario di un bar che pretende più sicurezza.

C’è addirittura un anziano che stufo di vedere una prostituta ogni sera davanti al portone di casa sua, dopo inutili segnalazioni ai vigili urbani, si appella al potere mafioso per liberare la strada di casa da quella presenza imbarazzante. E in virtù di questo debito di riconoscenza resta legato alla criminalità organizzata. E’ il controllo del territorio più radicale, quello che non si basa sulla paura ma sul consenso. A chi osa alzare la testa viene tolto tutto. «Lo sai chi sono io? Voglio il tuo garage» dice Cataldo Corniciello, un emissario della cosca, mentre sottrae il cellulare a un modesto imprenditore. «Questo ce lo teniamo noi, o ci dai le chiavi del magazzino o questo non lo vedi più, mi puoi pure denunciare». 

LE INDAGINI
Le indagini, partite nel 2019 come prosecuzione di un’altra importante operazione chiamata Stige, ha permesso anche di evidenziare il controllo delle attività commercali nonché dei porti di Cirò Marina e di Cariati. I Farao-Marincola indicavano ai pescatori persino quale tipologia di pesce sollevare nelle reti, a quale prezzo venderlo, a chi venderlo, con quali mezzi distribuirlo o in quali magazzini depositarlo.
I soldi del sodalizio venivano messi in una “bacinella”, una cassa comune della cosca, che poi serviva a finanziare il mantenimento in carcere dei vertici della consorteria come Salvatore Giglio, sua moglie Carmela Roberta Putrino e i figli Vincenzo e Giuseppe; pagare le spese legali della famiglia e gli spostamenti che questa faceva su tutto il territorio. I proventi di estorsioni, usura, traffico di stupefacenti hanno pagato anche le nozze lussuose di Enza, la figlia di Cataldo Marincola, tra i capi storici dell’omonima cosca, il capo dei capi a cui non si può dire di “no”.  Nelle intercettazioni gli inquirenti hanno avuto modo di ascoltare in che modo tutto un paese era stato sollecitato per l’evento: da chi doveva stampare i biglietti di invito alla cerimonia a chi si doveva occupare della cena nuziale. Ovviamente tutto gratuitamente o quasi. E nessuno che si sia lamentato. 
 

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