Omicidio di Chiaia, l'ingegnere ucciso
denunciò il fratello: voleva soffocarmi

Omicidio di Chiaia, l'ingegnere ucciso denunciò il fratello: voleva soffocarmi
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 2 Dicembre 2016, 00:00 - Ultimo agg. 26 Gennaio, 11:12
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Un violento: un personaggio aggressivo e violento. Lo aveva descritto in questo modo, alcuni anni fa, dopo aver subìto una sorta di pestaggio che lo aveva ridotto addirittura in ospedale. A presentare denuncia ai carabinieri, era stato Vittorio Materazzo, l’uomo ucciso lunedì scorso al termine di una brutale aggressione, culminata in una coltellata all’altezza della gola. Oggi si scopre un retroscena, un potenziale antefatto che sbuca dalle carte dell’inchiesta che punta a fare chiarezza sull’omicidio dell’ingegnere 51enne, ammazzato in via Maria Cristina di Savoia; ma anche su eventuali anomalie presenti nel decesso di Lucio Materazzo, il patron di famiglia deceduto a luglio del 2013, in circostanze quantomeno sospette.

Poche pagine, una querela firmata diversi anni fa da Vittorio, che puntava l’indice contro Luca, suo fratello più piccolo di qualche anno: poche pagine in cui il primo accusava il secondo di averlo aggredito, al termine di una dinamica abbastanza brutale. Nata per motivi banali. A voler dare credito all’esposto, Luca avrebbe messo le mani al collo di Vittorio, poi lo avrebbe scaraventato a terra e immobilizzato, fino a tentare di soffocarlo. Un’azione violenta, smodata, che si sarebbe consumata proprio nel cortile del civico tre di via Maria Cristina di Savoia dove - destino beffardo - Vittorio avrebbe tentato fino alla fine di salvarsi la vita, provando invano a schivare pugni e coltellate sferrate da un assassino ancora ignoto. Decisivo all’epoca - secondo la ricostruzione fatta da Vittorio - l’intervento del padre che, nonostante la sua età avanzata (e comunque grazie anche all’intervento di altri soggetti) era riuscito ad impedire l’azione di soffocamento. Eppure, dinanzi ai carabinieri di Largo Ferrandina, Vittorio era andato oltre la semplice denuncia di quell’episodio (che risaliva al 2003), raccontando anche altri momenti di tensione e violenza subiti alcuni anni prima. Tutti accaduti nello stesso caseggiato dove viveva il nucleo principale della famiglia Materazzo. Una denuncia mai coltivata da un punto di vista investigativo, rimasta lettera morta anche per il naturale desiderio dei fratelli di trovare un punto di sintesi, di comunione.

Fatto sta che oggi la denuncia di Vittorio rappresenta un probabile punto di partenza nelle indagini sul delitto di lunedì scorso. Vittorio e Luca, il primogenito e l’ultimo di casa Materazzo, il professionista in carriera che aveva ereditato il timone dell’azienda paterna e il giovane rampollo di famiglia dagli sbocchi lavorativi ancora incerti. Destini incrociati, screzi, improvvise esplosioni di rabbia. Facile immaginare che le indagini sulla morte di Vittorio Materazzo possano raccogliere anche questi elementi. L’inchiesta è a una svolta. Viene coordinata dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, al lavoro i pm Francesca De Renziis e Luisanna Figliolia, che sono concentrati sul delitto consumato lo scorso 28 novembre. Altro discorso - comunque non secondario -, riguarda il fascicolo legato alla morte di Lucio Materazzo, un episodio avvenuto a luglio del 2013, che aveva rappresentato un vero e proprio assillo per Vittorio. Storia nota, ormai: aveva chiesto la riesumazione del cadavere e autopsia, ma il gip aveva archiviato l’indagine; poi, appena pochi mesi fa, aveva ottenuto l’apertura di un nuovo fascicolo per falso, in relazione ad alcune anomalie presenti negli atti che attestavano la morte di Lucio Materazzo.


Difeso dal penalista Luigi Ferrandino, Vittorio aveva indicato alcuni punti legati al decesso del padre che, a suo giudizio, meritavano di essere approfonditi: «Mai ascoltati i primi soccorritori, mai refertate le ecchimosi e le gocce di sangue - si legge nell’istanza di riapertura del caso - troppe incongruenze tra l’orario dell’avvenuto decesso e il primo allarme lanciato in famiglia». Quella mattina del 25 luglio di tre anni fa - insisteva Vittorio nella sua denuncia - a dare l’allarme furono Luca e la convivente del patron: erano le sette del mattino, ma il corpo dell’ottantenne era rigido, come se fosse deceduto diverse ore prima. Destini incrociati, versioni contrastanti tra Vittorio e Luca, tra il piccolo e il grande. Ora, le indagini sono a una svolta, anche grazie al lavoro del capo della scientifica, il primo dirigente Fabiola Mancone. Massimo riserbo, appare chiaro che gli inquirenti hanno in mano qualcosa. Hanno raccolto tracce biologiche, le stanno confrontando al Dna dei componenti della famiglia di Vittorio Materazzo. Intanto, è slittato di un giorno l’appuntamento per l’autopsia, di fronte alla necessità degli inquirenti di procedere a un atto tecnicamente irripetibile con una visione d’insieme abbastanza chiara. Ancora poche ore e il quadro potrebbe farsi più nitido, proprio alla luce degli esiti sui possibili indizi refertati finora. Tracce organiche, ma anche testimonianze.

Come è noto, il cosiddetto colpo di grazia è stato notato da un testimone.
Era uno dei condomini di casa Materazzo e ha fornito particolari agli inquirenti: il colore del casco che indossava l’assassino, il suo abbigliamento, ma anche la sua stazza. Particolari che ora fanno i conti con eventuali riscontri oggettivi, destinati ad essere intrecciati alle versioni messe a verbale. E non ci sono solo le parole del testimone oculare del delitto. No, agli atti anche la versione di alcuni conoscenti di Vittorio Materazzo, che ne hanno raccontato la lucida ossessione che aveva animato gli ultimi mesi di vita: si sentiva in pericolo, perché stava scoperchiando il caso sulla morte del padre ed era pronto a fare il nome dell’assassino del genitore.

 
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