León: «Siamo a un passo dall’accordo in Libia. Così fermeremo l’orrore»

León: «Siamo a un passo dall’accordo in Libia. Così fermeremo l’orrore»
di ​Pietro Perone
Venerdì 28 Agosto 2015, 08:43 - Ultimo agg. 16:34
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Senza una tregua in Libia poco o nulla si potrà tentare di fare per contrastare l’immigrazione clandestina e dunque fermare la carneficina che ha trasformato il Mediterraneo in una tomba, tragedia del nuovo Millennio a cui l’Europa assiste pressoché inerme. L’uomo della trattativa con le cinque fazioni in cui è divisa la nazione che fu di Gheddafi è Bernadino León, il mediatore delle Nazioni Unite che lavora da mesi sotto l’egida dell’Onu. Resta cautamente fiducioso il diplomatico spagnolo sulla possibilità di siglare l’intesa nonostante il Parlamento di Tripoli (non riconosciuto a livello internazionale) abbia ulteriormente rinviato - a causa di forti contrasti interni - la partecipazione al dialogo ripreso in Marocco. Ma León, che da poco ha terminato l’ennesimo vertice prima di infilarsi in una nuova trattativa, non demorde e fa il punto con Il Mattino del negoziato in atto: «Siamo nella fase finale della discussione - spiega - e stiamo specificando tutti gli aspetti dell’intesa». L’obiettivo è quello di giungere a «un governo di Unità Nazionale» nel tentativo che l’Occidente riallacci i fili del dialogo con i libici prima che sia troppo tardi, visto che l’Isis, dopo Sirte, potrebbe avanzare ancora conquistando una nazione che è poche miglia dall’Italia.



L’assenza di una delle principali fazioni, il Congresso di Tripoli, rischia di fare fallire il negoziato proprio nelle ore in cui l’emergenza immigrazione esplode in tutta Europa?

«Il confronto per raggiungere un accordo politico è allo stadio finale. Per sette mesi abbiamo lavorato con i nostri partner libici, provenienti da ogni schieramento, su un certo numero di proposte per raggiungere questa fase. Sono stati coinvolti nelle riunioni i diversi comuni, la società civile, gruppi di donne, partiti politici e attivisti. Questa settimana, per esempio, c’è stato un incontro con le donne libiche a Tunisi. Oggi (ieri ndr) è iniziata un’altra fase delle negoziazione in Marocco. La maggioranza delle parti ha già siglato l’accordo politico e oggi (ieri ndr) è iniziato il confronto per completare l’intesa. Siamo nella fase di discussione degli allegati con cui verranno spiegati nel dettaglio i diversi punti su cui abbiamo discusso mesi e questi documenti sono destinati a definire l’attuazione dell’accordo stesso. È inevitabile che vi siano dei dubbi delle parti in causa, ma resta sul tavolo la priorità di creare un governo di Unità Nazionale. Intendiamo spingere affinché diventi una priorità, perché il compito principale di questo esecutivo dovrà essere quello di affrontare i bisogni immediati del paese per ciò che concerne la sicurezza e la situazione economica, ponendo fine al conflitto nel tentativo di rimettere la Libia sulla strada politica della transizione democratica. Ma il governo di Unità Nazionale avrà bisogno anche del pieno sostegno della comunità internazionale per poter avere successo».



Chi entrerebbe a farne parte?

«Ci saranno rappresentanti di tutte le parti in causa, così come accettato da tutti coloro che hanno partecipato al negoziato, un consenso ampio fondamentale per recuperare la Libia dalla devastazione del conflitto e ricostruire le istituzioni statali. Nell'ultima riunione, nell’ambito del dialogo politico avviato a Ginevra all’inizio di questo mese, le parti hanno convenuto che occorre definire l’accordo politico in tre settimane e renderlo operativo a inizio di settembre. Spero che questo obiettivo possa essere raggiunto».



Ci sono due forze principali in lotta per il potere: il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Tripoli sostenuto dalla milizia filo-islamica Fajr Libia: il primo ha già firmato; l’altro abbandonato la trattativa: non le sembra di essere troppo ottimista?

«Ripeto: ritengo che siamo vicini ad un accordo, ma non l’abbiamo ancora raggiunto. Le parti hanno concordato a Ginevra una linea temporale di tre settimane e si sono impegnate a confrontarsi nel segno del dialogo. Il partito che non ha siglato l’accordo nel mese di luglio si è unito alle discussioni a Ginevra all’inizio di questo mese. Questo di per sé è un segnale forte, indica che anche loro vogliono che questo processo di pace funzioni e che si giunga a un’intesa accettabile per tutti. Abbiamo detto in molte occasioni che le parti devono fare delle concessioni nell’interesse del loro Paese. Abbiamo avvertito che la situazione in Libia si deteriorerà ulteriormente e le divisioni diverranno sempre più insanabili se non si perverrà ad un patto molto presto. Ora è il momento per tutti di porre al primo posto gli interessi della Libia. Noi continueremo a discutere le questioni in sospeso e l’Unsmil continuerà il suo ruolo di assistenza fino a quando le parti non raggiungeranno un accordo definitivo».



La nascita di un Califfato dell’Isis a Sirte rende lo scenario più difficile?

«La presenza di Daesh (acronimo arabo di Isis ndr) a Sirte è una questione di grande preoccupazione dato il background di atrocità, tra cui esecuzioni sommarie di libici e cittadini stranieri a causa della loro religione o delle loro opinioni. È evidente che Daesh ha l’ambizione di espandere il proprio controllo, ma incontra delle resistenze anche all’interno di Sirte e i miliziani sono stati espulsi dal centro di Derna. Se i libici raggiungeranno un accordo politico potranno poi unire i loro sforzi nella lotta contro i miliziani».



Per come è oggi la situazione, la presenza dei miliziani in Libia rappresenta una reale minaccia per l'Italia?

«Daesh è una minaccia per tutti: la Libia, l'Italia, dovunque. Tutti dovrebbero unirsi per affrontare questa piaga. L'emergere dell’Isis dovrebbe aiutare a unire i libici e avvicinarli a un accordo in modo che il governo di Unità Nazionale e le istituzioni statali insieme siano in grado di affrontare questa minaccia. Questo governo, in collaborazione con la comunità internazionale, è il modo migliore per affrontare il pericolo di Daesh e le altre sfide che attendono il paese».



Una nave partita dalla Libia è giunta a Palermo con 52 morti nella stiva, ultima tragedia consumata in un Mediterraneo teatro di morte e disperazione: se le trattative dovessero fallire, crede che l’intervento militare diventerebbe l'unica strada percorribile?

«Sono ottimista e vogliamo continuare ad essere ottimisti sul fatto che una soluzione pacifica si possa ottenere in breve tempo. Mi piacerebbe pensare ”avremo un accordo”, piuttosto che ”se i negoziati dovessero fallire”. Stiamo lavorando per questo fine, per concretizzare l’accordo politico e mettere la Libia di nuovo sulla strada giusta in modo che il futuro governo di Unità Nazionale sia in grado di ripristinare la stabilità e affrontare le numerose sfide del Paese. Una grande sfida è la situazione dei diritti umani nel paese, tra cui quello dei migranti che si trovano ad affrontare tutti i tipi di abusi sia che cerchino di partire per l’Europa sia che vogliano guadagnarsi da vivere in Libia. Si scontrano con la tortura, la detenzione a tempo indeterminato, lo sfruttamento e l’abuso fisico per mano di gruppi armati e bande criminali. Per risolvere la questione abbiamo bisogno di sforzi concertati che coinvolgano i loro paesi d’origine, l’Europa e i libici. Questi ultimi devono assumersi le proprie responsabilità per gli abusi inflitti ai migranti che entrano nel oro territorio compresi coloro che hanno intenzione di lasciare quel Paese per raggiungere altre nazioni come l’Italia. Una Libia unita sarebbe di grande aiuto per affrontare il tema della migrazione».



È l'intelligence ad occuparsi del rapimento di quattro italiani e le Nazioni Unite non sono parte attiva di eventuali trattative, ma quale opinione nutre in proposito: siamo di fronte una rappresaglia contro l'Italia o si tratta solo di un gruppo di banditi alla ricerca di una grossa somma di denaro?

«Da quando i quattro italiani sono stati sequestrati le Nazioni Unite sono stato in contatto con diversi libici che godono di una certa influenza sul territorio per determinare la posizione dei rapiti e garantire la loro liberazione in modo rapido e sicuro. Abbiamo però capacità limitate, dato che non possiamo contare su una presenza permanente nel paese a causa delle condizioni di sicurezza».



Ma c’è qualche novità?

«Noi continuiamo ad indagare e continuiamo a richiedere i rilascio dei quattro operai».

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