Caro-benzina, fermi i pescherecci: rincari fino al 50% e all'ingrosso non si trova pesce fresco nazionale

Caro-benzina, fermi i pescherecci: rincari fino al 50%. All'ingrosso non si trova pesce fresco nazionale
Caro-benzina, fermi i pescherecci: rincari fino al 50%. All'ingrosso non si trova pesce fresco nazionale
di Giusy Franzese
Giovedì 10 Marzo 2022, 07:00 - Ultimo agg. 11:11
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Non prenderanno il largo almeno fino a domenica e intanto i banconi delle pescherie si svuotano. Pesce nazionale non se ne trova quasi più, e quel poco che c’è costa moltissimo. In questi ultimi giorni, con la quasi totalità dei pescherecci italiani in sciopero da lunedì, al Car di Guidonia, una delle più importanti strutture europee per la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli ed ittici all’ingrosso, le alici sono diventate introvabili. Parliamo del fresco, ovviamente. Ci sono invece piccole triglie, sogliole, acciughe, naselli, merluzzetti, insomma il pesce che in genere si utilizza per la frittura di paranza. Sono il frutto della pesca di piccole e piccolissime imbarcazioni che non hanno aderito allo sciopero indetto dalle marinerie di tutta Italia. Ma la quantità è scarsa e i prezzi quindi sono alle stelle. Anche il 30% in più all’ingrosso, che poi in pescheria e al supermercato diventa il 50% almeno. Pochissimi i riflessi sui pesci di allevamento, orate e vongole, ad esempio. Ma anche in questo caso il trend è in rialzo. E pure il pesce di importazione inizia ad avere dei problemi a causa del caro-trasporti. «Nei prossimi giorni prevediamo aumenti consistenti per tutti i prodotti» dice Massimo Pallottini, direttore del Car di Guidonia.  

È tutta la filiera di produzione ad essere in fibrillazione. I pescatori protestano per il caro-carburante. Il prezzo di vendita per il rifornimento dei motopescherecci è più che triplicato in un anno, da 0,40 centesimi al litro a 1,30. E il carburante rappresenta il 60% dei costi di produzione del comparto. «Un peschereccio di medie dimensioni consuma tra i 700 e gli 800 litri di gasolio al giorno. Con queste quotazioni è diventato proibitivo far uscire la barca dal porto» spiega Paolo Tiozzo, presidente di Confcooperative Fedagripesca

In Italia ci sono 12.500 pescherecci tra i 12 e i 35 metri, danno lavoro a 30.000 pescatori.

Senza soluzioni di ampio respiro il rischio è che gli armatori decidano di disarmare la barca. Vuol dire che i lavoratori perdono il posto, perché per ora non c’è un valido ammortizzatore sociale per il comparto. «Stiamo lavorando anche su questo fronte, tentando di strutturare una cig per la pesca sul modello di quella per l’agricoltura» continua Tiozzi.

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Ieri armatori e pescatori sono arrivati a Roma da tutta Italia con gli striscioni di protesta sotto il Mipaaf (ministero politiche agricole). Sono due giorni che nelle stanze del ministero si svolgono riunioni coordinate dal sottosegretario Battistoni con le delegazioni e i rappresentati di categoria. E un primo aiuto dovrebbe arrivare a brevissimo con un decreto ministeriale che stanzierà 20 milioni di euro per gli indennizzi. Lo schema sarà molto simile a quello già sperimentato per il Covid: il ristoro sarà proporzionato alla stazza dell’imbarcazione, si dovrebbe andare da circa mille euro per le più piccole fino a 10.000 per le più grandi. I fondi sono già disponibili. «É una goccia nel mare, ma è un inizio» commenta Tiozzi. «Al sottosegretario abbiamo chiesto un tetto massimo al prezzo del gasolio, cig in deroga, la sospensione delle rate dei mutui, il ripristino della legge 30 che prevede maggiori sgravi contributivi per i pescatori, ulteriori risorse comunitarie. Vediamo se verranno accolte.Intanto lo sciopero continua» dice Apollinare Lazzari, capo dei produttori pesca di Ancona. 

In fibrillazione sono anche gli allevamenti di pesce. Per loro il problema è soprattutto quello del caro energia. «I nostri costi sono lievitati tra il 25 e il 40%, tra caro-energia, aumento dei mangimi, logistica. Anche le cassette di polistirolo hanno visto negli ultimi sei mesi un incremento del 100%. Solo in minima parte questi aumenti sono stati trasferiti sul prodotto finale. Ma non possiamo andare avanti così» dice Andrea Fabris, direttore Api, associazione piscicoltori italiani. Tra le richieste al governo c’è l’inserimento del settore dell’acquacoltura tra le imprese energivore, l’accesso agevolato ai finanziamenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, e ristori.

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