Picchiò il carabiniere, la lettera dal carcere: «Testa alta e pugno chiuso»

Picchiò un carabiniere, la lettera dal carcere: "Testa alta e pugno chiuso". Nessun segno di pentimento
Picchiò un carabiniere, la lettera dal carcere: "Testa alta e pugno chiuso". Nessun segno di pentimento
Venerdì 16 Marzo 2018, 10:54 - Ultimo agg. 17 Marzo, 12:38
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Le immagini fecero il giro d’Italia e del mondo: Lorenzo Canti, detto 'Dibi', attualmente in carcere a Piacenza dopo gli scontri durante una manifestazione antifascista - in cui prese a calci un carabiniere, Luca Belvedere - ha scritto una lettera. Le sue parole, «A testa alta e a pugno chiuso» sono state pubblicate da InfoAut, un portale di informazione anarchica.

Canti, modenese di 23 anni, si trova nella Casa Circondariale San Lazzaro di Piacenza insieme a Giorgio Battagliola. «Abbiamo vinto tutti noi che abbiamo conquistato le piazze - dice - a spinta per non permettere i comizi fascisti e l’equiparazione ‘democratica’ dell’antifascismo militante con il fascismo».



Nessun segno di pentimento nella lettera, per l’aggressione al carabiniere le cui immagini sconvolsero l’Italia: il carabiniere rimase ferito e dovette operarsi ad una spalla, con 60 giorni di prognosi.
«Noi ora dentro il carcere siamo come ostaggi nella rappresaglia dello Stato contro i poveri - aggiunge - in una battaglia persa da Minniti, che ora si serve dei tribunali per reprimere ciò che era giusto e naturale fare, scendere in strada e lottare».

«Il pugno di ferro che mi tiene in carcere con la sola accusa di resistenza è solo un pezzo di carta», continua, augurandosi poi di non aver perso il suo lavoro, ed esprimendo la voglia di tornare libero «per vedere le piazze sempre più gremite e determinate a opporsi contro la situazione politica che si è venuta a creare dopo le elezioni».

Una settimana fa il Tribunale del Riesame ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa di Lorenzo Canti: «Il giudice, nonostante il parere favorevole del Pm alla scarcerazione e alla richiesta dei suoi legali ha deciso di lasciarlo in cella per l'accusa di semplice resistenza. È la prima volta in Italia che per una resistenza semplice viene ordinata e mantenuta la carcerazione rendendo palese l'intento di differenziazione di trattamento per un militante politico», scriveva il collettivo bolognese Cua, parlando di decisione «esclusivamente politica». 
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