Regeni, giallo sugli ordini arrivati da Cambridge. L'ateneo: «Collaboreremo»

Regeni, giallo sugli ordini arrivati da Cambridge. L'ateneo: «Collaboreremo»
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 3 Novembre 2017, 10:24 - Ultimo agg. 14:51
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Sull'uccisione di Giulio Regeni i riflettori si spostano nuovamente su Cambridge. La procura di Roma ha aperto una rogatoria internazionale per richiedere un interrogatorio di Maha Abderahman, la tutor del giovane ricercatore che fino ad oggi mai ha voluto completamente chiarire il proprio ruolo sul genere di ricerche che Giulio era stato chiamato a fare in Egitto. Non solo, ma i magistrati hanno chiesto di ascoltare tutti gli studenti inviati dal 2012 al 2015 al Cairo. Della «pista inglese» era stato proprio Il Mattino a parlarne per primo, appena una settimana dopo il ritrovamento del cadavere martoriato di Regeni. Si trattava d'indiscrezioni raccolte negli ambienti dell'intelligence: gli analisti dei Servizi italiani avevano paventato sin da subito l'ipotesi che per ora resta tale che dietro la barbara morte del giovane potesse celarsi una macchinazione di intelligence estere che avevano interesse, attraverso l'uccisione di un ragazzo italiano, ad alterare i rapporti tra Italia ed Egitto e, di conseguenza, anche con le fazioni dell'Est libico (come quelle del generale Haftar) legate a doppio filo con il governo di al-Sisi.

 

Il clamore suscitato dall'iniziativa della procura di Roma ha costretto finalmente l'ateneo inglese ad uscire allo scoperto. «Maha Abdelrahman ha annunciato un portavoce del college - ha ripetutamente espresso la volontà di collaborare con i procuratori italiani». Una collaborazione che però fino ad ora non c'è mai stata. La docente ha fino ad oggi parlato con gli investigatori italiani soltanto ai funerali di Giulio, ma si trattò di dichiarazioni laconiche e rifiutandosi, tra l'altro, di mettere a disposizione dei magistrati il telefono e il pc. Da allora nulla più, se non uno scambio di mail in cui la professoressa rimarcava che «per il foreign office inglese, l'Egitto è un Paese sicuro quindi non furono prese particolari misure di sicurezza per proteggere Giulio». Una partita, quella con il college di Cambridge, che si gioca su due differenti campi. Da un lato l'ateneo e Abdelrhaman potrebbero avere difficoltà ad aiutare i magistrati per non svelare i potenziali giochi di spionaggio orchestrati alle spalle di Giulio. L'altro aspetto che suggerisce ai docenti del Girton College di essere restii nel collaborare è in una possibile causa civile che la famiglia di Regeni potrebbe intentare ai loro danni se emergessero reali responsabilità. Bisognerà attendere per capire quanto sarà reale la collaborazione offerta.

La docente dovrebbe spiegare, ad esempio, che genere di rapporti ha intrattenuto con la Oxford Analytica, una società privata di intelligence con sedi in vari Paesi che offre spesso supporto anche ai Servizi segreti britannici. E Abdelrahman dovrà pure chiarire per quali motivi, alla fine del 2015, appena un mese prima il rapimento e l'uccisione del ricercatore, chiedeva a Giulio di intensificare le ricerche sui sindacati degli ambulanti egiziani avversi ad al-Sisi. Evidenze di cui la procura romana, guidata da Pignatone, ha piena contezza grazie alle analisi forensi effettuate sul computer del giovane ricercatore. Un pc che a quanto risulta al Mattino fu prelevato da agenti italiani nell'abitazione al Cairo di Regeni ancor prima che il suo cadavere fosse ritrovato.

Un blitz per non consentire ad altri di mettere le mani su informazioni preziose. Così come la procura è a conoscenza dell'ultimo incontro che Regeni avrebbe dovuto effettuare al Cairo con il professore napoletano, Gennaro Gervasio, il primo a dare l'allarme della scomparsa del giovane. Il docente napoletano è stato ascoltato dal Copasir appena una settimana fa per chiarire alcuni aspetti.

Nonostante i maldestri tentativi di depistaggio effettuati sin da subito dalla polizia egiziana, all'interno degli apparati italiani era chiaro già dalla scomparsa di Giulio che dietro la sua sparizione potessero nascondersi responsabilità di alto livello. In primis i Servizi egiziani che materialmente avrebbero torturato e ucciso Regeni. Ma da qui si apre un gioco a incastri, un domino che sta cercando di risolvere non solo la procura romana. Dietro la possibile evidenza della responsabilità dei Servizi deviati egiziani sull'uccisione di Giulio, resta pur sempre inevasa la domanda sul perché l'Egitto avrebbe avuto interesse ad aprire una crisi diplomatica con Roma trucidando un italiano. Si è parlato di una vendetta trasversale all'interno degli apparati del Cairo per mettere in difficoltà il presidente al-Sisi con la comunità internazionale. Ma dietro questa traccia è sempre viva l'ipotesi che anche altri Paesi con interessi nel Mediterraneo avrebbero potuto beneficiare della rottura delle relazioni. In Egitto l'Eni ha scoperto il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, una miniera del valore di oltre 7 miliardi. Ma pure in Libia dove l'Italia esercita naturalmente un ruolo di leadership per attività economiche e per la storica relazione esistente da decenni con quel Paese. Servirà chiarezza. La verità sull'uccisione di un nostro connazionale su cui il governo italiano non ha mai mollato la presa. Già nel giugno del 2016 l'ex presidente Renzi chiese alla premier May collaborazione dal college di Cambridge. Una richiesta che fino ad oggi è però rimasta inascoltata. La «pista inglese» è ancora tutta da scoprire.
 

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