Risse tra adolescenti, i sociologi: «L'isolamento è una miccia, ma le famiglie possono rimediare»

Risse tra adolescenti, i sociologi: «L'isolamento è una miccia, ma le famiglie possono rimediare»
Lunedì 11 Gennaio 2021, 07:00
5 Minuti di Lettura

«Non è un Paese per giovani» è il titolo di un saggio famoso del demografo Alessandro Rosina (con Elisabetta Ambrosi). La definizione si adatta a pennello alle difficoltà, rafforzate, della generazione dei ragazzi nel pieno della pandemia e delle scuole chiuse. Spiega Rosina, docente alla Cattolica di Milano: «Le maxi-risse nelle nostre città sono la punta dell'iceberg della condizione dei giovani mai complicata come adesso. Già prima non c'erano certezze per loro e ora con l'emergenza virus e le sue conseguenze economiche e sociali ce ne sono ancora di meno». Per questo si danno appuntamento via social e si prendono a botte e mazzate? 

«La loro valvola di sfogo - incalza Rosina - è uno schiacciarsi sul presente, che prende forme di protagonismo negativo. Anche violento. Naturalmente quelli delle maxi risse sono una parte minoritaria di ragazzi ma quando si rompono i meccanismi della quotidianità, e si assottigliano ancora di più le scarse illusioni sul futuro, tutto cambia e precipita.

Dobbiamo stare molto attenti noi adulti». 

Magari giustificando di meno, usando in famiglia un controllo e una fermezza educativa che comunque - Covid o non Covid, in questa fase tremenda ma anche prima e pure dopo - non esiste più o viene considerata anticaglia per genitori conservatori. «Il problema - secondo un grande sociologo qual è Aldo Bonomi - è che la comunità stretta della famiglia non basta più. Non controlla e non indirizza. Soltanto la comunità di cura larga, che è quella dove i ragazzi crescono e dove si formano come persone e come cittadini, può fungere da rete e da antidoto contro la solitudine che può sfociare in fenomeni di violenza organizzata. Purtroppo in questi tempi è complicatissimo rimettere in piedi la trama larga della società, quella comunità di cura già da tempo erroneamente svalutata».

«Quel che è certo - riecco Rosina - è che noi adulti dobbiamo dare attenzione, oltre che ai fatti clamorosi come le risse, alla depressione e alla rassegnazione. I ragazzi vanno aiutati ancora di più che nei periodi normali. Servirebbe, da parte delle famiglie, un surplus di capacità nel mettere gli adolescenti e i giovani al centro. Questa nuova coscienza manca». C'è viceversa, in certi casi, il desiderio dei ragazzi di evadere e la spinta a reagire in maniera choc alle restrizioni e alle regole sociali. Sfogandosi in vari modi. Per esempio, fa notare Rosina, come ha fatto quella ragazza di 14 anni che - come «prova di dolore» - si è fatta tagliare le labbra dal fidanzatino per somigliare a Joker nel suo ghigno. 

Video

Pietro Zocconali, che presiede l'Associazione nazionale dei sociologi, la mette così: «La chiusura di scuole, cinema, stadi, discoteche, palestre ha significato la fine del dialogo a tu per tu e della convivialità. Aldilà dello sconforto e della solitudine, per i giovani sta mancando ogni forma di competizione, che è il sale per il loro sviluppo psico-fisico. Mi si passi la similitudine, sembrano vulcani ai quali viene tappato il cratere. Ai giovani non è rimasto altro che il pc e soprattutto il cellulare. Ma il cellulare può essere considerato come il coltello, che taglia il pane ma può anche essere un'arma letale. I giovani e gli adolescenti ormai ci convivono, e i social media, in mano anche a gente priva di scrupoli, possono diventare pericolosi specie verso i ragazzi più indifesi».

 

E questo è un modo per spiegare le maxi risse. Ma ce n'è anche un altro, che è quello - ancora - di Bonomi. «Non mi stupisce», osserva il professore, «questo fenomeno di appropriazione dello spazio pubblico, rompendo le regole, in tempi di confinamento. C'è un deficit di distanza fisica da colmare». Ma perché azzuffandosi? «Perché c'è bisogno di affermare con la forza più estrema la conquista dello spazio pubblico quando non si può. La novità è che ci si appropria dello spazio pubblico ma non tutti insieme bensì gli uni contro gli altri e tutti contro tutti. Perché nella community, cosa diversa dalla comunità e che si basa su una grammatica social, i meccanismi di appartenenza giovanile sono altri. Non la solidarietà, che pure in gran parte degli italiani si è sviluppata lungo questa pandemia, ma la conflittualità. La community, che è a geometria variabile e non definibile con schemi di ceto o di classe, è l'opposto della comunità larga e inclusiva in cui rientra anzitutto la scuola: è una comunità opposta che si aggrega sul rancore, un sentimento profondo che va trattato come tale e non guardato banalmente come un incontro di boxe».

© RIPRODUZIONE RISERVATA