Ucciso per un debito di poche decine di euro, al termine di una lite in strada degenerata, forse, a causa di qualche birra di troppo. È morto così intorno all’1.30 di lunedì notte, Emanuele Mattei, 43 anni, un diploma da ragioniere in tasca e un lavoro come cameriere in un ristorante a due passi dalla sua casa di via Oderisi da Gubbio. Il movente che ha armato la mano di Salvatore Cau, 48 anni, residente a Canepina (Viterbo) dove si era trasferito con la famiglia da qualche anno sarebbe in 40 o 50 euro contesi tra lui e un suo amico egiziano di 46 anni (rilasciato) ed Emanuele. Una coltellata secca all’addome ha fatto perdere molto sangue a Mattei che è crollato sul marciapiede di via Borghesano Lucchese sotto gli occhi della sua fidanzata, Cristina, e di almeno altre quattro persone, amici di quartiere con cui aveva passato la serata fino a poco prima a bere in un bar.
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«È morto tra le mie braccia, sono morta con lui, Emanuele era tutto per me, mi aveva detto “vado e ci parlo con questi” e me l’hanno ammazzato», ripeteva ieri Cristina, tornata a porre fiori sul luogo. Insieme con Cau - nel suo passato solo una denuncia per guida in stato d’ebbrezza - nella caserma dei Carabinieri di Trastevere è finito l’egiziano che, dopo l’omicidio, sarebbe tornato sul posto e, quindi, subito riconosciuto e indicato agli investigatori da uno dei testimoni. «É quello lì con la maglietta verde che sta telefonando», ha indicato “Robertone”. E forse l’egiziano stava proprio informando Cau dell’epilogo. Poco dopo il viterbese, che a Roma ha mantenuto lavori di cameriere e portiere di notte, è stato notato in via Pacinotti da due agenti di San Paolo fuori servizio insospettiti dai segni di ammaccatura e sangue sulla carrozzeria. Anche Cau era ferito, una botta alla testa, ed è stato medicato in ospedale prima di essere portato dai carabinieri in caserma. Emanuele e Cristina, dunque, erano nei pressi del “muretto”, un luogo di raduno la sera per diversi giovani e non solo.
«Ogni tanto si sente qualche zuffa - racconta uno dei testimoni che abita nel palazzo di fronte - quindi all’inizio non avevo fatto troppo caso al rumore, poi ho sentito gridare “basta”, “a stro’...”, e tonfi, come di persone sbattute sulle auto. Mi sono affacciato e ho visto due sagome, una che teneva una persona, e mi sembrava che l’altra la picchiasse. Poi sono scappate da un’auto bianca che era in doppia fila e ha girato a sinistra verso la Magliana. La ragazza urlava disperata “me l’hanno ammazzato”». In tanti scendono dai palazzi. Tutti conoscono Emanuele, “il polacco” come era chiamato per via dei capelli e la carnagione chiara, o “il mattacchione”, «perché era sempre allegro e aveva scherzi per tutti», come ricorda Alfonso il suo datore di lavoro. «Emanuele - dice - non era in brutti giri, era un buono mi sembra assurdo che qualcuno possa averlo ammazzato così».