Segregata in un ripostiglio dopo un falso matrimonio: condannato l'aguzzino

Segregata in un ripostiglio dopo un falso matrimonio: condannato l'aguzzino
Segregata in un ripostiglio dopo un falso matrimonio: condannato l'aguzzino
di Stefano Buda
Sabato 19 Dicembre 2020, 14:37 - Ultimo agg. 18:24
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Segregata in uno scantinato a Montesilvano (Pescara), dopo avere sborsato quasi 7mila euro per contrarre un falso matrimonio con un pescarese, in Marocco, al solo scopo di trasferirsi in Italia. E’ la drammatica esperienza vissuta da una giovane donna marocchina, che sognava una vita migliore in Europa e ha trovato solo soprusi, violenza e degrado. Ma anche giustizia. Il tribunale collegiale ha infatti condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione un 27enne per sequestro di persona e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e a 4 anni e 5 mesi un 48enne, unicamente per il secondo reato. Entrambi di Pescara, ma residenti a Montesilvano, sono assistiti dall’avvocato Antonio Di Blasio.

Tutto ebbe inizio sette anni fa, quando i due uomini si recarono in Marocco «per espletare le pratiche – è scritto nel capo d’imputazione - relative al matrimonio tra il 27enne e la giovane marocchina. Matrimonio effettivamente contratto nel dicembre del 2013, dopo che il giovane aveva presentato all’autorità marocchina una falsa dichiarazione dei redditi, necessaria in quello Stato per il matrimonio. Il 27enne si fece pagare 6.700 euro dalla donna, per un matrimonio contratto «solo al fine di fare ingresso in Italia per ricongiungimento familiare».

I due imputati fornirono assistenza alla ragazza anche dopo la concessione del visto da parte del Consolato italiano a Casablanca, inviandole informazioni sul viaggio da intraprendere. Poi, il 16 gennaio 2015, la donna arrivò a Pescara. Per la ragazza fu l’inizio di un incubo. Nel capo d’imputazione si legge che il 27enne la privò “della libertà personale, chiudendo a chiave le stanze dell’appartamento nel quale era ospitata a Montesilvano e in cui era costretta a rimanere mentre lui si prostituiva”. L’imputato “le impediva di uscire e di provvedere ai propri bisogni vitali, come cibarsi e lavarsi, tenendola costantemente sotto la sua stretta sorveglianza, anche quando la portava fuori dall’abitazione”.

Alla donna erano precluse “ogni possibilità di allontanamento autonomo e di comunicazione con altre persone”.

Fu un banale controllo della Guardia di Finanza, che si recò da Montefusco per verificare il rispetto del fermo amministrativo dell’auto, a portare alla luce l’accaduto. Le fiamme gialle scoprirono infatti che in quell’appartamento viveva una donna marocchina, rinchiusa in uno scantinato e senza documenti. La ragazza raccontò tutto e immediatamente intervenne la Procura. 

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