Omicidio di Serena Mollicone, il processo 20 anni dopo: spunta un altro depistaggio

Omicidio Serena Mollicone, il processo 20 anni dopo: spuntano altri depistaggi
Omicidio Serena Mollicone, il processo 20 anni dopo: spuntano altri depistaggi
di Aldo Simoni
Sabato 20 Marzo 2021, 08:12 - Ultimo agg. 13:12
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Fuori, cronisti e carabinieri. Dentro, solo giudici e avvocati. Causa pandemia, il Palazzo di Giustizia è rimasto blindato per tutto il tempo della prima udienza del processo per l’omicidio di Serena Mollicone (troppo piccola l’aula della Corte d’Assise per ospitare i tanti cronisti, gli operatori e i cittadini interessati all’udienza).
Così, fuori del Tribunale, si sono rivissuti i 20, drammatici anni, di depistaggi, arresti, indagini che ora sono confluiti nel maxi processo che ora vede sul banco degli imputati l’ex maresciallo comandante dei carabinieri di Arce, Franco Mottola; suo figlio Marco e sua moglie Annamaria tutti accusati di omicidio volontario in concorso. E ancora: l’ex luogotenente Vincenzo Quatrale che risponde di concorso morale nell’omicidio e d’istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi (il sottufficiale di Arce che si sparò poco prima di deporre in Procura e raccontare cosa vide il giorno della sparizione di Serena); e il carabiniere Francesco Suprano che risponde di favoreggiamento. 

Tra i 260 testimoni che saranno chiamati a deporre davanti alla Corte d’Assise, c’è anche chi partecipò attivamente alle indagini. E ricorda come gli accertamenti vennero fuorviati sin dall’inizio. Con tanto di arresto. 
Già, perché la seconda vittima di questa incredibile storia è il carrozziere di Rocca d’Arce Carmine Belli, incastrato da un bigliettino su cui era riportato l’appuntamento che Serena, il giorno della scomparsa, aveva con il suo dentista. 

Come era finito quel biglietto (con tanto di dati personali della ragazza) nella carrozzeria dove lavorava Belli? 
«Probabilmente ce lo mise proprio chi voleva depistare le indagini.

In fondo, scaricare i sospetti su di lui, tutt’altro che scaltro e malizioso, era estremamente semplice e a quel punto il caso era chiuso» riferisce un carabiniere che, 20 anni fa, arrestò il carrozziere.

E su questi depistaggi si sofferma anche il gip quando scrive che «il maresciallo Mottola, in virtù del grado rivestito, ha potuto indirizzare sin da subito le indagini nel modo voluto: in tale opera è stato incredibilmente favorito da una serie di circostanze e atteggiamenti omertosi».

«La cosa incredibile - continua il giudice - è che tale depistaggio è stato agevolato dal fatto che il maresciallo Quatrale ed il brigadiere Tuzi, dopo essere venuti a conoscenza della scomparsa di Serena, non abbiano immediatamente riferito la verità su quanto visto, relativamente all’ingresso della ragazza nella caserma di Arce la mattina del primo giugno 2001, quando scomparve». 

Una storia, dunque, di depistaggi che iniziano subito dopo la scomparsa della studentessa «allorquando - prosegue il gip - il comandante viene contattato telefonicamente da un cittadino che gli riferisce dell’avvistamento di Serena la mattina della scomparsa nei pressi del bar Chioppetelle di Fontanaliri».
In quel bar c’era anche Carmine Belli che, ascoltato dai carabinieri, raccontò di aver visto Serena mentre litigava con un ragazzo. E, subito dopo, un’altra teste, riferì di aver detto al maresciallo che la ragazza vista nei pressi del bar era in compagnia di un ragazzo (poi riconosciuto in Marco Mottola, figlio del maresciallo). Quindi, Serena fu vista allontanarsi sulla Y 10 bianca del giovane Mottola.

Inutile aggiungere che tali testimonianze cominciavano ad essere piuttosto compromettenti per il figlio del maresciallo e - sempre secondo l’accusa - ecco che iniziarono i primi depistaggi, culminati, appunto, con l’arresto di Carmine Belli. Un’odissea, per il carrozziere di Rocca d’Arce, durata 5 anni, tra processo di primo e secondo grado. Udienze dalle quali, però, è sempre uscito indenne.  

Ecco, ora il processo punta proprio a chiarire chi ha messo in atto questi depistaggi. Chi lo ha aiutato. Come. E soprattutto va appurato chi (dopo aver ucciso Serena nella caserma dei carabinieri) aiutò l’assassino a gettare il corpo nel vicino bosco di Anitrella.

Per la Procura la mano assassina va trovata all’interno della famiglia Mottola, presso cui Serena era andata, quel dannato primo giugno, per convincere il figlio del maresciallo ad abbandonare un presunto giro di spacciatori della zona.

Ipotesi, però, che gli imputati hanno sempre fermamente respinto. Se ne riparlerà il 16 aprile nella seconda udienza.

Nel frattempo l’Arma dei carabinieri si è costituita parte civile.
 

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