Shanti De Corte, eutanasia a 23 anni. «Depressa dopo essere sopravvissuta all’attentato dell'Isis in Belgio»

Shanti De Corte, eutanasia a 23 anni «Depressa dopo essere sopravvissuta all’attentato dell'Isis in Belgio»
Shanti De Corte, eutanasia a 23 anni «Depressa dopo essere sopravvissuta all’attentato dell'Isis in Belgio»
di Francesca Pierantozzi
Domenica 9 Ottobre 2022, 00:09 - Ultimo agg. 10 Ottobre, 10:17
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Quel 22 marzo del 2016 Shanti De Corte aveva 17 anni e si trovava a Zaventem, l’aeroporto di Bruxelles, perché doveva partire per Roma in gita scolastica, tre classi in tutto, 90 studenti. Erano le otto del mattino, i terroristi si fecero saltare mentre i ragazzi seguivano i prof verso gli imbarchi. Quel 22 marzo Shanti vide i morti per terra, i feriti, il sangue, le urla, ma lei ne uscì indenne, nemmeno un graffio. Quelle bombe l’hanno ammazzata dentro, lentamente, e alla fine è stata lei ad arrendersi, quando l’amore dei suoi, gli psichiatri, i farmaci, i ricoveri non bastavano più: le autorità sanitarie belghe hanno accettato la sua richiesta di eutanasia.

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LA MADRE

È stata la madre Marielle a raccontarlo l’altro giorno alla tv fiamminga: Shanti è morta il 7 maggio a 23 anni, con la famiglia accanto, un suicidio assistito perché la sua sofferenza mentale è stata giudicata «insostenibile» e «senza più possibilità di sollievo». Sapere che l’avrebbero aiutata a morire ha dato a Shanti l’ultimo sorriso, che ha postato con una foto sul profilo Facebook con l’ultimo messaggio: «È stata una vita di risate e lacrime, fino all’ultimo giorno. Ho amato e mi è stato concesso di sapere cos’è il vero amore. Me ne vado in pace. Sappiate che già mi mancate». Per due volte Shanti aveva tentato il suicidio, nel 2018 e nel 2020. Poi aveva deciso di rivolgersi a un’associazione per «il diritto di morire con dignità» che accompagna chi chiede l’eutanasia, riconosciuta in Belgio in caso di sofferenze fisiche o psichiche non curabili.

Due neuropsichiatri hanno approvato la richiesta di Shanti all’inizio dell’anno.

Una decisione contestata da un neurologo, Paul Deltenre, della clinica Brugman a Bruxelles, secondo il quale diverse cure avrebbero potuto essere tentate per tirare fuori Shanti dall’abisso in cui era precipitata dopo quel 22 marzo. Un’inchiesta potrebbe essere aperta dalla procura di Bruxelles. Il Belgio è stato condannato proprio la settimana scorsa dalla Corte europea per i diritti umani per «mancanze» nei controlli a posteriori delle procedure di eutanasia. Non ha dubbi invece la madre: «Quel giorno Shanti si è come spezzata, non è mai più riuscita a ricostruirsi, non si sentiva in sicurezza da nessuna parte, non poteva sopportare di trovarsi in luoghi con altre persone, aveva continui attacchi di panico». Shanti stessa raccontava sui social la battaglia continua contro il dolore: «Mi sveglio e prendo medicine a colazione, poi fino a undici antidepressivi al giorno. Senza non posso vivere, ma con tutte queste medicine non provo più niente, sono un fantasma».

L’ATTENTATO

Il 22 marzo 2016 i fratelli El Bakraoui e Najim Laachraoui si fecero esplodere all’aeroporto di Zaventem e alla stazione della metro di Maelbeek a Bruxelles. Fu l’ultimo attacco della cellula che aveva già fatto strage a Parigi il 13 novembre 2015: in Belgio si contarono 32 morti e 340 feriti. «Shanti è l’ultima vittima di quell’attentato» hanno scritto i media belgi. Lei ci aveva provato. Era tornata a scuola, giurava ai suoi e ai suoi amici che ce l’avrebbe fatta anche se le sembrava impossibile. Ma non riuscì a finire il liceo. La psicologa della scuola, che ha seguito tutti i ragazzi coinvolti nell’attentato, ha parlato due giorni fa in tv: «Purtroppo alcuni ragazzi hanno reagito in modo peggiore di altri. Ho incontrato più volte Shanti, e posso dirvi che era in una situazione di estrema fragilità». L’ultima volta che era tornata in classe Shanti aveva affidato, come al solito, i suoi sentimenti sui social: «Non riesco più a concentrarmi su niente - scriveva - voglio solo morire».

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