Condannato a 25 anni, un anno in più di quanto chiesto dall’accusa, per omicidio volontario del padre. Giuseppe Di Martino, 48 anni, ha ascoltato impassibile la lettura della sentenza della Corte d’Assise di Teramo. In aula c’era anche la madre Anna Ramogida, che poi ha lasciato palazzo di giustizia con il figlio, e sono tornati nella villetta del delitto, a Silvi, dove Giuseppe è agli arresti domiciliari da tre anni.
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L’ACCUSA Una condanna che equivale all’accoglimento della ricostruzione dell’accusa, rappresentata dal pm Enrica Medori, che ha sempre sostenuto che Giuseppe ha ucciso il padre Giovanni, 73 anni, meccanico in pensione con un sostanzioso conto in banca, al culmine di una lite in casa. Il motivo? Forse proprio quel denaro, circa 600mila euro, che Giovanni aveva accumulato con una vita lavoro in Svizzera, anche se figlio e moglie hanno sempre detto che di quella grossa eredità non ne sapevano nulla. La morte di Giovanni è stata causata «da una costrizione violenta del collo» hanno detto i periti. Il figlio Giuseppe avrebbe stretto le mani al collo del padre durante una colluttazione fino a strangolarlo.
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LE MOTIVAZIONI Giuseppe Di Martino ha comunque evitato l’ergastolo. L’avvocato difensore già pensa all’appello. «Continuiamo a ritenere con la massima convinzione l’assenza della volontà di uccidere da parte del mio assistito come, per altro, emerso nel corso del dibattimento - dice il professor Marco Pierdonati - Attendiamo le motivazioni della sentenza e anticipiamo la proposizione dell’appello.