Silvia Romano, per la trattativa un milione e mezzo: il 23 aprile la prova che era viva

Silvia Romano, per la trattativa un milione e mezzo: il 23 aprile la prova che era viva
di Cristiana Mangani
Lunedì 11 Maggio 2020, 07:03 - Ultimo agg. 17:25
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Dopo mesi di trattative, di abbocchi finiti nel vuoto, intorno al 23 aprile arriva quella che viene considerata la prova in vita determinante. Un'informazione che ha un prezzo parecchio elevato, se è vero che è stato necessario dare al suggeritore circa 200 mila dollari in cambio delle indicazioni su dove si trovasse Silvia: in quella regione della Somalia che si chiama Bay e che è in mezzo a una foresta. Stava nel villaggio di Buulo Fulaay, e viveva in una casa, non da prigioniera, anche se controllata a vista.

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Al pm Sergio Colaiocco che l'ha sentita a lungo ieri, insieme con il colonnello del Ros Marco Rosi, ha raccontato di aver impiegato circa 4 settimane per arrivare in Somalia. «Non mi hanno legata, abbiamo cambiato almeno quattro covi - ha ricordato la giovane cooperante - ma i carcerieri sono sempre stati gli stessi. Hanno promesso che non mi avrebbero ucciso, e non lo hanno fatto».

GLI SPOSTAMENTI
In questo suo viaggiare per luoghi sempre popolati, è successo anche che gli 007 siano riusciti più volte a intercettare i movimenti, ma senza poter intervenire. Fino al 17 gennaio quando viene inviato uno dei primi video che conferma il suo stato di salute e le sue buone condizioni. Ma verrà visto solo a fine aprille, e nel periodo precedente si perderanno le sue tracce.
Sono mesi di silenzio e di preoccupazione. E a quel punto che, l'Aise, il servizio segreto esterno, chiede la collaborazione dei colleghi turchi, oltre che di quelli somali.
La trattativa riprende subito energia, ma i terroristi di Al Shabaab sembrano avere un progetto ambizioso: chiedono 10 milioni in cambio di più ostaggi che sarebbero in loro possesso. Sull'autenticità della richiesta, però, non ci sono conferme, tanto che sarà la stessa Silvia a dire al magistrato: «Sono sempre stata tenuta da sola».
A fine aprile i contatti sono ristabiliti: questa volta i carcerieri chiedono un paio di milioni in cambio della liberazione della ragazza. Forse l'accordo viene trovato su un milione e mezzo. Ora di riscatto nessuno vuole sentirne parlare ufficialmente, non ci sono conferme, ma neanche smentite. Si sa che sul campo sono stati fondamentali gli aiuti dei servizi turchi, già compagni di avventura nella cattura di Ocalan, il leader del Pkk. Con la Somalia i rapporti di collaborazione sono molto stretti, perché l'Italia addestra i loro militari.
 



IL BLITZ
La sera tra l'8 e il 9 maggio le forze speciali partono in missione per recuperare Silvia. Ma l'operazione, a livello locale, deve anche sembrare un blitz più che un accordo, e per questo vengono sparati dei colpi di mortaio. È notte quando il gruppo composto da turchi, somali e agenti italiani infiltrati raggiunge il luogo concordato. Piove a dirotto: la ragazza viene presa in consegna dagli 007. In un primo momento sembra diffidente, poco propensa a collaborare, ma forse non ha ancora capito che è stata liberata e che non si tratta di altri carcerieri.
Di questa storia, così come per gli altri sequestri, rimarranno luci e ombre. A cominciare dai componenti di quella banda di criminali che il 20 novembre del 2018 ha sequestrato Silvia in Kenya, dopo aver ricevuto del denaro proprio da Al Shabaab che voleva fermare questa giovane che faceva proselitismo religioso.

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