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Gli sprechi del Nord: la pista di bob mangiasoldi, Olimpiadi senza fine

di Gigi Di Fiore
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 10 Agosto 2020, 08:40
6 Minuti di Lettura

Tutta la croce dei recuperi costosi e dei problematici riutilizzi è caduta sulla Fondazione 20 marzo 2006. Regione Piemonte, Comune di Torino, Città Metropolitana e Coni la costituirono già sette mesi dopo le Olimpiadi invernali che 14 anni fa fu a Torino e provincia un'occasione unica di flussi di denaro e investimenti. La Fondazione, presieduta dal sindaco di Bardonecchia, Francesco Avato, ha il delicato compito di gestire gli impianti realizzati per i Giochi. Undici opere, in gran parte in disuso e abbandonate, che rappresentano un altro capitolo di denaro pubblico speso senza vista lunga. Quattro dipendenti, ultimi comunicati ufficiali diffusi cinque anni fa: l'attività della Fondazione è poca cosa, ma da sola nulla può fare. E l'ente è il simbolo di un'eredità che compie 14 anni e si divide con il commissario liquidatore dell'Agenzia Torino 2006, Domenico Arcidiacono, che si barcamena a chiudere un ente che fu destinato dal governo a realizzare le opere.

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OPERE E SPRECHI
Quattordici anni dopo, le Olimpiadi, che dal 10 al 26 febbraio del 2006 impegnarono in gara 2633 atleti, con uno staff organizzatore di 2700 persone retribuite e 18mila volontari, sono ancora un capitolo aperto con due strutture amministrative in piedi che non riescono a chiudere i conti economici con quell'esperienza: la Fondazione 20 marzo 2006 e il commissario liquidatore dell'Agenzia Torino 2006. I soldi spesi per impianti che vanno in malora pesano, tanto che a febbraio scorso la Corte dei conti ha annunciato l'apertura di un'indagine sulla gestione di quelle opere inutilizzate da anni.

In testa all'elenco c'è la pista di bob e slittino realizzata a Cesana Torinese, chiamata Cesana-Pariol. Per costruirla, fu abbattuto un vigoroso e antico sito di larici. Fu finita nel 2005, con tanto cemento. È stata utilizzata per le gare delle Olimpiadi, poi per la coppa del mondo di bob nel 2009 e per i campionati mondiali di slittino nel 2011. Poi il nulla. Anzi, no: un intervento urgente nel 2011 per eliminare l'ammoniaca dall'impianto di refrigerazione che rischiava di diventare una vera e propria bomba ecologica. E poi le incursioni dei ladri che hanno svuotato l'impianto del rame prezioso. Undici vennero sorpresi sempre nel 2011. In tutto, alla fine, un impianto costato 135 milioni è stato utilizzato per 20 manifestazioni sportive. E la struttura è in completo abbandono, gestirla costa mezzo milione nei mesi invernali e 800mila euro per le manutenzioni ordinarie. Venne chiesta una consulenza al Politecnico, costata 100mila euro, per studiarne il possibile riutilizzo, ma senza alcun effetto. Nella relazione al bilancio della Fondazione 20 marzo 2006 si legge: «Per l'impianto, in attesa di riqualificazione e della ripresa delle attività, si è provveduto a individuare modalità di utilizzo parziale, in qualche caso temporanee in altri continuative, per evitare il fenomeno della desertificazione e il conseguente abbandono rispetto alle attività di sciacallaggio delle componenti elettriche e impiantistiche». Ma la desertificazione è in atto, se nel 2018 l'impianto è stato usato solo per 26 giorni in allenamenti. Eppure, a Cesana era stato promesso un futuro da «Coverciano della neve» e il sindaco di allora, Roberto Serra, cui in quegli anni bruciarono anche l'auto, ha ricordato: «A convincere e rassicurare tutta la popolazione vennero tutti, dal ministro Frattini, al presidente del Coni, Pescante, il presidente della Regione, Ghigo, il sindaco di Torino, Chiamparino. Venne persino Alberto di Monaco. Dicemmo di sì e sbagliammo».

I TRAMPOLINI
A Pragelato, l'impianto Pragelato-Plan venne salutato con entusiasmo. Ha raccontato l'allora sindaco, Valter Marin: «Facemmo ben undici riunioni aperte ai cittadini». La struttura doveva ospitare le gare di sci di fondo e poi il salto con cinque trampolini. Due erano per le gare olimpiche, tre per i giovani da allenare. Il tutto costò 35 milioni. L'impianto è fermo dal 2008, non si è visto più nessun saltatore con gli sci. Per riattivarlo, ci vorrebbe un milione di euro, che il Comune non ha. Per non parlare della pista di sci di fondo: avrebbe bisogno di 20 milioni per il cablaggio che diventerebbe inutile senza almeno un anno di gare. È lì, a futura memoria.«Si dovranno riavviare attività per possibili interventi di riqualificazione» scrive la Fondazione 20 marzo 2006.

Ancora più singolare il destino di un impianto, destinato a gare di una disciplina sconosciuta ai più: il freestyle. È a Sauze d'Oulx, ed è costato 9 milioni di euro. Considerando che è stato utilizzato solo per 6 giorni, quelli delle gare olimpiche, è praticamente costato un milione e mezzo al giorno. Rimasto inattivo per sei anni, l'impianto è stato smantellato nel 2012 con una spesa di 18755 euro, su decisione del Comune che ne era diventato proprietario. Costava meno distruggerla che tenerla in piedi, con inutili costi di manutenzione.

Ma dove sono stati davvero sfortunati è sempre a Pragelato, scelta per un'alltra disciplina di nicchia: lo ski jumping. Venne realizzato un impianto in cemento armato, spendendo 37,3 milioni di euro. Per la manutenzione ci vuole oltre un milione di euro e ha ospitato solo due competizioni dopo le Olimpiadi. Vi è collegato un hotel con 120 posti letto costato 20 milioni, che «dopo un avvio promettente ha incontratio notevoli difficoltà commerciali e appare dimostrato che la struttura non abbia un profilo di redditività particolarmente favorevole» si legge nella relazione della Fondazione 20 marzo 2006.

PARCOLIMPICO
Per gestire l'eredità dei costosi impianti inutilizzati, otto anni fa la Fondazione 20 marzo 2006 costituì una srl chiamata Parcolimpico, partecipandovi con il 10 per cento delle quote. Il resto venne messo a gara, sperando nell'arrivo di soci privati. La prima volta non rispose nessuno. Alla seconda andò meglio. Oggi, il 90 per cento delle quote è il gruppo Get live 2, con principale azionista l'americana Live Nation organizzatrice di concerti e eventi con l'altro socio Set up. E infatti le strutture più appetite dai privati sono il Palavela di Torino, costruito nel 1961 e utilizzato nel 2006 per le gare di pattinaggio, e il PalaAlpitour costruito per le Olimpiadi e destinato alle gare di hockey su ghiaccio. Roba buona per concerti e grandi manifestazioni. Più difficoltoso invece l'utilizzo a reddito del villaggio olimpico le Arcate ex Moi a Torino costato 145 milioni, un insieme di immobili che assorbe denaro e nessuno vuole. Tanto che scrive ancora la Fondazione 20 marzo 2006: «Parcolimpico condividerà ogni proposta e offerta di mercato per l'impiego dell'area, fonte di redditività ma futura».

Ma l'elenco è davvero senza fine, se si aggiunge l'impianto di biathlon a Sansicario, che costò 25 milioni. Si pensa a un centro sportivo per il tennis, ma anche in questo caso servono investimenti. E l'halfpipe di Bardonecchia, la struttura per lo sci freestyle e il pattinaggio? «Non ha più le caratteristiche tecniche per lo svolgimento di attività sportive» sentenzia la Fondazione 20 marzo 2006. Un quadro desolante di denaro speso per opere che non servono più o sono antieconomiche. Risuonano le dichiarazioni di Paolo Bellino, manager nel comitato organizzatore dei Giochi, raccolte nello studio sulle Olimpiadi di Giulia Perona e Marialuisa Greco per la scuola Holden: «Il vero fallimento sono stati gli investimenti immobiliari senza prospettive. Hanno costruito impianti per 15 giorni su una durata di 30 anni. Al Palasport olimpico ci sono 5500 metri quadri di spogliatoi che non servono a niente. Tante cose che non si vedono sono oggettivamente degli sprechi».

(5 - continua)

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