Terremoto, gli esuli del sisma: quattro anni dopo ancora 42 mila gli sfollati

Terremoto, gli esuli del sisma: quattro anni dopo ancora 42 mila gli sfollati
Terremoto, gli esuli del sisma: quattro anni dopo ancora 42 mila gli sfollati
Domenica 23 Agosto 2020, 00:01 - Ultimo agg. 15:39
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Gli esuli del sisma sono gli sfollati mai rientrati nelle loro case. A 4 anni dal terremoto del Centro Italia che devastò paesi e città dell’Umbria, del Lazio e delle Marche, da Amatrice a Norcia, causando 299 morti e 388 feriti, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli afferma: «Abbiamo ancora fuori casa circa 42mila persone, molti sono nelle soluzioni abitative di emergenza, negli alberghi e nelle altre strutture, la stragrande maggioranza, circa 32mila, sono in contributo di autonoma sistemazione, il 70% è nelle Marche. Siamo impegnati per assistere la popolazione, stiamo gestendo con i Comuni tutto il tema delle soluzioni abitative di emergenza, gli espropri, le opere che sono state fatte per i puntellamenti che hanno bisogno di manutenzione».

La scossa alle 3.36 di notte, di magnitudo 6, il 24 agosto di quattro anni fa, ridusse in macerie i centri abitati più vicini all’epicentro. «Arrivammo abbastanza presto anche se c’erano delle difficoltà per raggiungere Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto - racconta Borrelli - È stato un terremoto nel quale la prontezza dell’intervento ha consentito di estrarre vive dalle macerie circa 240 persone nelle prime 72 ore».

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Sono esuli amatriciani ed accumolesi sparsi ad Ascoli Piceno, Rieti oppure a L’Aquila. Storie di sofferte scelte familiari, dettate da motivazioni spesso non capite da chi è rimasto in paese. Sono molti i terremotati che hanno deciso di non risiedere nelle SAE, aspettando altrove il tempo della ricostruzione. Arben Bakaj è un albanese giunto con l’esodo del 1991: in patria era un poliziotto ma in Italia è diventato falegname e restauratore: tante porte di chiese ed abitazioni che ora sono state spazzate via dal sisma erano state “curate” lui, conosciuto da tutti in paese come “Benny”. La sua bottega di restauratore era in pieno centro storico ed è stata distrutta dal sisma. “Sono dovuto andare via da Amatrice con la mia compagna per lavorare altrove -racconta- ora da qualche settimana sono tornato nella mia bottega delocalizzata”. A Torrita come tanti artigiani lavora anche lui, mentre la sera torna a San Benedetto del Tronto dove risiede: ad Amatrice spera di tornare nella sua abitazione in pieno centro storico acquistata e ristrutturata con mille sacrifici nel 2009: ”ringrazio Amatrice per tutto quello che mi ha dato, con la speranza che torni ad essere quello che era”. Andrea Sebastiani è un infermiere del 118: moglie amatriciana e venti anni di lavoro presso l’Ospedale Grifoni ed ancora oggi presso la postazione ARES 118 di Amatrice. Dopo il sisma decide di rimanere a Contigliano, in casa dei genitori: “E’ stata una decisione presa per il benessere psicologico dei miei due figli: avevo visto cosa era successo dopo il terremoto dell’Aquila”. Ad Amatrice lo lega anche l’attività nella sezione CAI e il volontariato come operatore del Soccorso Alpino facente capo alla Stazione di Rieti. “Mi sento uno sfollato in casa” racconta, con la speranza di tornare a vedere presto dalle finestre di casa il verde dell’amatriciano.

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Tra le migliaia di persone ancora intrappolate tra burocrazia e ritardi, c’è chi viaggia controcorrente. Come Domenico Terenzi, ristoratore di Norcia, cui il sisma del 2016 ha distrutto la Trattoria a conduzione familiare, nel centralissimo Corso Sertorio, e l’abitazione, appena fuori le mura. Il verdetto dei tecnici, quando le scosse agitavano ancora la terra, era stato impietoso: “inagibilità E l1”, che nel gergo freddo e cinico della burocrazia indica il livello di danno più grave, quello per cui la ricostruzione stenta a partire. Domenico e la sua famiglia non si sono dati per vinti e, con caparbietà e coraggio, sono riusciti nell’impresa. In appena tre anni hanno rimesso a posto casa e in meno di sei mesi hanno riaperto la loro Trattoria dei Priori, delocalizzata nella zona dell’area industriale. Nessun aiuto esterno, solo determinazione, che Domenico prova a ricondurre alla “buona sorte”. In realtà, senza perdere tempo o attendere le delocalizzazioni della Regione, ha trovato uno stabile agibile e ha subito fatto i lavori per trasferirci la trattoria, che ha riaperto i battenti nella primavera del 2017, quando altrove si discuteva ancora di emergenza e massimi sistemi. «Rispetto all’80 per cento che era stato promesso inizialmente, ho ripreso appena il 30 per cento dei soldi spesi, ma sono contento della scelta fatta». E la casa? «Siamo rientrati ormai da un anno. Siamo stati tra i primi a presentare il progetto e anche quando mi veniva consigliato di temporeggiare ho insistito perché si procedesse. Con la mia famiglia abbiamo inizialmente vissuto in tenda, poi nel camper prestatoci da parenti di Roma e infine in un garage. La nostra pratica è stata ferma un anno, poi a novembre 2018 è stato firmato il decreto che ha consentito a gennaio 2019 l’avvio dei lavori. A casa siamo rientrati nel giro di pochi mesi, a meno di tre anni dal sisma».
 


Dividere la data del compleanno con il terremoto: davvero il destino non ha un’agenda se a Bernard Petrucci, arquatano di Trisungo, domani 49 anni, ha presentato un conto del genere. «Con mia moglie e i due figli che oggi hanno 13 e 14 anni - racconta - abbiamo cambiato quattro alloggi in quattro anni: prima la tenda, poi la country house dove abbiamo preso le scosse di ottobre. Poi la roulotte per qualche giorno e alla fine siamo venuti nella casa di mia mamma a San Benedetto».

Bernard sa bene cosa significa la parola sacrifici: un anno in Germania a fare il trasportatore prima del rientro nel Piceno poco prima del maledetto agosto 2016. Qualche giorno prima della scossa 6.0 delle 3.36 gli rubano il camion. Poi dopo il gioco dell’oca dei traslochi, accetta il lavoro alla Moresco Carni di Pedaso (un quarto d’ora da San Benedetto), paga un infortunio e deve lasciare, assiste il padre ammalato e ora, da un anno, ha aperto una macelleria un passo fuori dalle Marche, a Martinsicuro: «La Germania? Mi avevano detto di stipendi alti. Lavoro ne trovi quanto ne vuoi ma per 1500 euro devi stare al chiodo 13 ore. Mi sono dato da fare qui». 

Ma quanto manca per la casa nuova? «Chiedi a mia moglie, lei è brava per le carte, io penso al lavoro».

Giuseppina si è sistemata alla Tod’s di Arquata. «Noi siamo quelli che devono abbattere e ricostruire, siamo in fila.
Aspettiamo che ci diano notizie - dice la moglie di Bernard -. Se ci fanno ripartire la casa a Trisungo torniamo di corsa, anche domani. Siamo stati su anche ieri ma ti prende uno sconforto quando vedi la situazione... Come si regge l’urto? Gli stimoli sono due: indietro non si può tornare e poi dobbiamo costruire un futuro per i figli». 

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