Terremoto in Molise, notti in piazza ​a Montecilfone con l'incubo diga

Terremoto in Molise, notti in piazza a Montecilfone con l'incubo diga
di Roberta Muzio
Sabato 18 Agosto 2018, 10:31
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Montecilfone è un paese in bilico, in movimento su una faglia da ormai cinque giorni, sospeso nell'entroterra molisano, minato dal terremoto e dal rischio di un isolamento completo. Se non sarà il sisma a causare l'abbandono delle poche case, molte delle quali lesionate e in numero crescente dichiarate inagibili, lo sarà un ponte. Il viadotto del Liscione, infrastruttura degli anni Settanta, è al momento chiuso al traffico. Un balzo indietro di quasi 50 anni per un'intera regione, il Molise, tagliata a metà.

«La prima scossa, l'altra sera, ci ha colti mentre eravamo in processione per la Madonna Grande. Abbiamo sentito un boato violento, cupo. C'è stato panico, sono fuggiti via tutti. Eravamo sotto un palazzo fatiscente e abbiamo visto come si muoveva. Nell'arco di poco, però, la gente ha reagito. Ci siamo ritrovati in piazza e lì abbiamo trascorso la notte. La chiesa è stata chiusa, sono caduti calcinacci e ci sono lesioni evidenti sulle mura». Il parroco, don Franco Pezzotta, ha imparato a capire la lingua arbereshe che parlano a «Munxhufuni», dove anche i nomi delle vie sono indicati nel doppio idioma. Vive qui da 47 anni e ricorda, prima delle tre principali scosse che si sono susseguite dallo scorso 14 agosto, il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, paese che in linea d'aria è a pochi chilometri. La chiesa, dopo quell'evento, risultò inagibile e, quindi, fu ristrutturata. «Riaperta al culto nel 2006 spiega e, grazie alla Caritas, è stata costruita anche una sala parrocchiale accanto al municipio». Lì, ieri mattina, dopo la nottata trascorsa all'aperto per la grande paura causata per le due scosse nella serata del 16 agosto, don Franco, con trenta gradi fuori e a pochi metri dal centro Coc, assiepato di giornalisti, rinnovava la promessa di una coppia per i cinquant'anni di matrimonio. Spiega che, i bimbi più piccoli con le loro mamme, sono rimasti proprio in quella sala occupando una trentina di brandine della Protezione civile arrivate già durante la notte. Un'altra quarantina di posti letto è stata allestita nel nuovo edificio scolastico, e Coc della Protezione civile, riservati agli anziani del paese e qualche malato.
 

Ieri i funzionari della Protezione civile, Umberto Capriglione e Mario Consilio, controllavano che le procedure fossero state attivate correttamente. Nessuno è rientrato nelle case dopo le scosse delle 20.19 e delle 22.22 del 16 agosto: la prima di intensità 5.1, la seconda 4.4. «È una grande ferita per questo paese di 1.200 anime. Il vescovo mi mandò qui perché, mi disse, ho bisogno di un prete in un posto dove c'è una sola chiesa e visto che vuoi fare il missionario, lì sarà come lavorare in Africa». Oggi, molti giovani sono andati via: «Ho celebrato 4 battesimi e 36 funerali nel 2017 afferma il sacerdote - i ragazzi, credo per una sorta di rivalsa sociale rispetto alle origini albanesi, sono andati tutti via per poter studiare, laurearsi ed affermarsi socialmente».

Oggi, Montecilfone, ospita anche una cinquantina di immigrati dall'Africa e dal Bangladesh nello Sprar. Sono spaventati e, alla meglio, hanno sistemato i loro letti fuori dalla palazzina che li ospita nella campagna limitrofa. I controlli, ieri, da parte dei tecnici della Protezione civile e dei Vigili del fuoco si sono susseguiti senza sosta. «Al momento afferma il sindaco Franco Pallotta sono pervenute almeno 120 segnalazioni di danni in abitazioni. Due sono state dichiarate inagibili. Le persone saranno ospitate nell'edificio scolastico. Se sarà necessario allestiremo un campo». C'è anche la villetta della famiglia Colonna tra le abitazioni lesionate. I proprietari spiegano che la casa risale agli anni Cinquanta ma che, dopo il sisma del 2002, rifecero il tetto in cemento armato sostituendo quello in legno su una struttura costruita, come da loro affermato, con sabbia e cemento. All'interno si può sostare solo per pochi istanti poiché c'è il rischio, con lo sciame sismico in corso, di ulteriori cedimenti.
 
Il terremoto a Montecilfone, che insieme ad altri tre paesi della zona sono di cultura e lingua arbereshe, è capitato nel periodo in cui molti emigrati sono tornati. Come Giuseppe Vasile dalla Germania che, durante la scossa, era a casa dell'anziana madre proprio attigua al Centro diocesano gravemente danneggiato su un lato e dal quale sono piovute pietre dalla parete esterna, in parte crollata. Lì, oltre alle attività ricreative per i bambini, c'è anche il banco alimentare per 60 famiglie di indigenti. Anch'esso rischia la chiusura.

Scendendo verso la fondovalle Biferno, attraverso le colline, le strade sono sconnesse e piene di frane. Sono, da ieri, le uniche percorribili e alternative alla Statale 647 nel tratto del viadotto della diga del Liscione. Chilometri di curve attraversano campagne, dove i pali dell'elettrificazione in alcuni punti toccano terra e dove, ad esclusione di alcune fattorie, non passa anima viva. Da lì, scendendo verso Palata, ci si può spingere fino ai piedi della grande opera, inaugurata nel 1972. La diga che ha creato un lago artificiale e sul quale si passa grazie al ponte di circa 10 chilometri totali. L'acqua, per la morfologia del territorio, crea insenature dalle quali si possono guardare da vicino i piloni del viadotto. Già da tempo sono stati rinforzati con strutture di ferro. Da sotto l'armatura è visibile a causa dello sgretolamento del cemento. Dall'alba di ieri nessuno può passare sul ponte. Per precauzione o per una presa di coscienza rispetto a un problema da tempo sussurrato. Si vedrà. Quel che è certo è che si tratta di una frattura che lacera. Una ferita che fa sprofondare paesi come Montecilfone nel completo spopolamento, divide una regione e, segna, inesorabilmente, un salto all'indietro di mezzo secolo per una terra che in pochi conoscono.
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