La trattativa Stato-Mafia: assoluzione per Mannino dopo un calvario di 28 anni

La trattativa Stato-Mafia: assoluzione per Mannino dopo un calvario di 28 anni
di Gigi Di Fiore
Sabato 12 Dicembre 2020, 10:20
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Si chiude definitivamente, per il primo imputato, la vicenda giudiziaria sulla presunta trattativa Stato-mafia. La sesta sezione penale della Cassazione ha dichiarato «inammissibile» il ricorso della Procura generale sull'assoluzione in appello di Calogero Mannino, ex ministro Dc. Confermata, dunque, la sentenza d'assoluzione della Corte d'appello di un anno fa, in cui si sosteneva che «non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito nel mirino della mafia per le sue presunte e indimostrate promesse non mantenute (addirittura quella del buon esito del primo maxiprocesso), ma anzi è emerso che fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua azione di contrasto a Cosa nostra».

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VENTOTTO ANNI FA
Ma le accuse a Mannino su presunti rapporti con la mafia, sono andate avanti per 28 anni.

Il primo avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa arrivò all'ex ministro nel 1992. Lo accusavano pentiti, come i killer Gioacchino Schembri e Giuseppe Croce Benvenuto, o il capo decina di San Cataldo, Leonardo Messina. Sostenevano che Mannino aveva stretto intese con le cosche mafiose per ottenere voti in cambio di favori. L'ex ministro fu arrestato, rimanendo nove mesi in carcere e tredici ai domiciliari. Assolto in primo grado con il rito abbreviato nel 2001 «perché il fatto non sussiste», fu poi condannato due anni dopo dalla Corte d'appello di Palermo a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Ma la Cassazione annullò la condanna con rinvio e scattò il secondo processo con assoluzione confermata dalla Cassazione nel 2010. Era la prima vicenda giudiziaria. Due anni dopo, Mannino fu coinvolto nell'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, con altri undici indagati. Alla richiesta di rinvio a giudizio dell'allora pm Antonino Ingroia, l'ex ministro chiese il rito abbreviato con giudizio «allo stato degli atti». Nel 2015 fu assolto dal gup Marina Petruzzella per «non aver commesso il fatto». Quattro anni dopo, la conferma dell'assoluzione in appello e ora la conferma della Cassazione. Ventotto anni per uscire definitivamente da due lunghi processi per mafia.


L'ALTRO PROCESSO
Assolto Mannino, è ancora in corso il processo d'appello per gli altri imputati. Per loro, la sentenza di primo grado arrivò il 20 aprile 2018. Vennero condannati i boss mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà a 28 e a 12 anni, ma anche gli ufficiali del Ros, Antonio Subranni e Mario Mori, condannati a 12 anni di carcere. Poi l'ex capitano del Raggruppamento operativo speciale Giuseppe De Donno condannato a 8 anni, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, condannato a 12 anni. Prescritte, come richiesto dai pm, le accuse per il pentito Giovanni Brusca. Invece Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, era stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti dell'ex capo della Polizia Giovanni De Gennaro. Per l'ex presidente del Senato Nicola Mancino c'è stata due anni fa l'assoluzione dall'accusa di falsa testimonianza, su cui la Procura di Palermo non ha presentato appello. E l'assoluzione è diventata definitiva. Bisognerà ora capire in che modo l'assoluzione definitiva di Mannino inciderà sul processo in corso. Secondo l'ex pm Ingroia, la scelta di Mannino di chiedere il rito abbreviato avrebbe impedito una valutazione ampia delle prove. Ma Mannino replica: «Ho vissuto una lunga via crucis durata trent'anni. Non tutti gli imputati che chiedono l'abbreviato vengono assolti».


LA PROSSIMA SENTENZA
La decisione d'appello per gli imputati nel secondo processo sulla trattativa Stato-mafia è prevista per l'anno prossimo. A novembre del 2019, fu convocato come teste anche Silvio Berlusconi che si avvalse della facoltà di non rispondere. Da chiarire, in questo dibattimento arrivato a metà del cammino, misteri come il telefono cellulare che il boss Totò Riina avrebbe avuto in cella, o le rivelazioni dell'ex guardia giurata Pietro Riggio, diventato collaboratore di giustizia, che, da detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, era stato «agganciato nel 1999» per fare parte di una «task force che aveva come obiettivo arrestare il boss Bernardo Provenzano». Tra il 2000 e il 2003, Riggio fu infiltrato dai carabinieri in Cosa nostra affiliato alla famiglia mafiosa di Caltanissetta. Da verificare le sue dichiarazioni. Sul presunto telefono cellulare in possesso di Riina nel carcere di Rebibbia dove era detenuto al 41 bis, sono stati sentiti più testimoni tra cui l'ex prefetto Luigi Rossi, allora vice del capo della polizia, Vincenzo Parisi. La prossima udienza è fissata per lunedì. Sull'esito finale, incombe ora l'assoluzione di Mannino.

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