Roma, tunisino sospetto vuole incontrare Papa: «Non sono un terrorista, denuncio tutti»

Roma, tunisino sospetto vuole incontrare Papa: «Non sono un terrorista, denuncio tutti»
Lunedì 26 Marzo 2018, 09:01 - Ultimo agg. 28 Marzo, 08:58
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«Non sono un terrorista, non sono latitante, la polizia tunisina mi ha interrogato tutto il giorno. Denuncio tutti!». Sono le dichiarazioni di Atef Mathlouthi, il tunisino ricercato da ieri per una segnalazione su possibili attentati a Roma, che è stato rintracciato da «Chi l'ha visto?» in Tunisia. «Non sono un terrorista. Non mi interesso di politica. Voglio pagare le mie colpe in Italia. Mi piacerebbe incontrare il Papa a Roma con tutta la mia famiglia», dice inoltre l'uomo la cui moglie vive a Palermo con i 4 figli.



«Lavoro in un bar per mandare i soldi a mia moglie e ai bambini; dal 2012 non sono più uscito dalla Tunisia, sono a Mahdia - dice il tunisino a Chi l'ha visto? - Ieri sono andato a lavorare e ho trovato il bar circondato dalla polizia, mi hanno detto che sono ricercato a Roma, magari mi portassero a Roma», ha aggiunto Atef raccontando che gli è stato riferito di una lettera anonima recapitata all'ambasciata . «Hanno fatto spaventare mia moglie e i miei figli. Mia madre è in ospedale in Francia».

Beatrice, la moglie italiana di Atef, dice: 
«Io sono italiana e vivo in Sicilia; mio marito è in Tunisia, vive e lavora lì per mantenere i nostri figli e perché ha il permesso di soggiorno scaduto, da anni non riesce a rientrare in Italia. Così separati viviamo malissimo, abbiamo 4 bambini, vogliamo che lui rientri. Uno dei nostri figli, dopo le notizie di ieri, non mangia, si è spaventato molto e non è voluto andare a scuola».  «Ieri - continua la donna - è arrivata la polizia; mi è stato detto che mio marito era ricercato a Roma; io due settimane fa sono andata a trovarlo come si vede nelle foto: l'accusa che gli viene mossa è assurda, mio marito non è a Roma», prosegue Beatrice, la quale accenna ad un problema di lavoro tra suo marito e il marito di una donna in Tunisia.
Il legale della famiglia, l'avvocato Cacioppo, anch'egli in collegamento telefonico con la trasmissione Chi l'ha visto, racconta che la lettera anonima arrivata all'ambasciata che accusa Atef sarebbe «frutto di un contenzioso economico con il compagno della signora che ha mandato la lettera. Ma a nostro avviso non ci sono elementi per sostenere elementi del genere, è una accusa infondata. Atef ha sempre seguito le vie legali per ottenere i visti, non si è mai sottratto ai controlli di polizia, non ha nessun aggancio a Roma nè interessi di alcun genere.

Proveremo a dimostrare la sua innocenza: si tratta di una accusa ingiusta e diffamante». 

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