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Vaccini, disorganizzazione e pochi medici: ecco perché le fiale (in Italia) restano in frigo

Vaccini, disorganizzazione e pochi medici: ecco perché le fiale (in Italia) restano in frigo
Vaccini, disorganizzazione e pochi medici: ecco perché le fiale (in Italia) restano in frigo
di Francesco Malfetano e Diodato Pirone
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 2 Marzo 2021, 06:24 - Ultimo agg. : 18 Febbraio, 05:14
4 Minuti di Lettura

Perché le vaccinazioni vanno a rilento? E come mai alcune Regioni sono rimaste molto indietro nelle somministrazioni rispetto ad altre che invece filano come treni? Per orientarsi nella giungla della campagna vaccinale bisogna fissare un paletto. «Purtroppo nella Sanità italiana impera la cultura del cavillo, tutti si riparano le spalle e nessuno prende decisioni semplici e pratiche come hanno fatto gli inglesi», spiega l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco, assessore alla Sanità della Puglia. Proprio la cultura del cavillo ha creato una enorme confusione intorno al vaccino AstraZeneca di cui da metà febbraio sono arrivate in Italia 1,5 milioni di dosi (463.000 venerdì notte) delle quali solo 332.000 (il 22% del totale) risultavano somministrate al pomeriggio di ieri. 

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Che cosa è successo? «Il problema con AstraZeneca - confida uno dei tecnici della Stato-Regioni che ha seguito da vicino la parabola della campagna vaccinale - è nato con la decisione iniziale di vincolare il vaccino solo a persone che avevano meno di 55 anni». Una decisione presa dall'Aifa (l'Agenzia che controlla i farmaci) spaccando in quattro il capello dei casi sperimentati da AstraZeneca prima dell'approvazione del vaccino arrivata il 15 febbraio. «Quel limite dei 55 anni che invece era di 65 anni in Germania e che non è mai esistito in Gran Bretagna ha fatto saltare molti piani organizzativi - spiegano allo Stato-Regioni - Che senso ha vaccinare i professori di una scuola fino a 55 anni lasciando in balia del Covid-19 un loro collega di 56 anni?». Di fatto le Regioni mentre iniziavano a protestare col ministero della Sanità si sono fermate. 

Rimettendosi in moto solo dieci giorni dopo quando l'Aifa ha rivisto le carte e ha alzato a 65 anni il limite per la somministrazione dell'AstraZeneca, limite che peraltro probabilmente salterà nei prossimi giorni.

«Le campagna vaccinali - spiega Lopalco - si fanno come abbiamo fatto fra novembre e dicembre con il vaccino anti-influenzale: nessuno conosce la marca dei vaccini anti-influenzali che sono stati somministrati a manetta». 

 

Uno scenario che mentre è già visibile con i vaccini Pfizer e Moderna (con i quali ormai si viaggia alla velocità di oltre 100.000 somministrazioni al giorno) per l'AstraZeneca è ancora un miraggio. Sapete a domenica scorsa quanti AstraZeneca aveva usato la Basilicata: zero. E le Marche? 82. E la Sardegna? Meno di 4.000.

Briciole. Alla difficoltà di selezionare i vaccini infatti si aggiunge la disorganizzazione endemica dei sistemi sanitari di alcune Regioni. «Alcune strutture già fragili - assicurano sempre alla Stato-Regioni - all'improvviso si sono dovute confrontare con l'organizzazione di due canali vaccinali, uno per Pfizer e Moderna e l'altro per Astrazeneca. Questo senza avere personale sufficiente». 

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Dulcis in fundo nelle scelte di alcune Regioni è riapparso il nemico italiano per eccellenza: l'ufficio complicazioni cose semplici che domina le burocrazie.

Il caso della Sardegna è forse quello più evidente. Questa Regione è rimasta indietrissimo nella vaccinazione degli ultraottantenni: ne ha fatto appena 7.000 pari al 6,2% dei suoi 112.000 nonni, ben quindici volte meno di quanto ha fatto il Lazio con le sue 126.000 somministrazioni a questa categoria.

Come mai? Le cose in Sardegna funzionano così. La Asl territoriale comunica a un Comune due giorni prima della vaccinazione gli elenchi degli ultraottantenni cui somministrare il farmaco. I vigili del Comune avvisano gli anziani, si accertano che vogliono essere vaccinati e li fanno tamponare. Infine carte e risultato del tampone alla mano i nonni debbono farsi accompagnare dai parenti nel centro vaccinale più vicino che generalmente dista non meno di mezz'ora di macchina.

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Alcuni sistemi sanitari regionali poi sono arrivati alla pandemia in condizione di disordine e debolezza senza pari. La Calabria è a quota 1,5 medici su 1.000 abitanti, il Friuli a 2,1. Non si spiega diversamente la ragione per cui la Calabria abbia ricevuto a ieri ben 186.000 dosi e ne abbia inoculate solo 102.000. Siamo a quota 54% nell'uso dei vaccini. È vero che la Regione ha fatto il pieno la domenica per somministrare durante tutta la settimana ma quel 54% è inaccettabilmente più modesto dell'88% della piccola Valle d'Aosta e del 77% della ben più grande Campania. Il comportamento di quest'ultima Regione sfata però il falso mito della scarsità del personale. In Campania i dipendenti del servizio sanitario sono 41.000 per 5,8 milioni di abitanti mentre il Veneto vanta 57.400 lavoratori per la sua Sanità su 4,9 milioni di abitanti. Ma la Campania ha effettuato a ieri 400.000 somministrazioni e il Veneto 340.000. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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