Varsavia, la rabbia dei 700 laziali in trasferta: «Siamo finiti in una trappola»

Tifosi della Lazio arrestati a Varsavia
Tifosi della Lazio arrestati a Varsavia
di Nino Cirillo
Venerdì 29 Novembre 2013, 10:00 - Ultimo agg. 11:55
3 Minuti di Lettura
Siamo finiti in trappola. Alle otto di sera arrivano voci confuse dalla Pepsi Arena e dintorni, ma terrorizzate. Il telefono del funzionario di turno alla nostra ambasciata dà costantemente occupato, restano i pochi cellulari raggiungibili di tifosi laziali per cercare di capire cosa davvero è accaduto nelle ultime ventiquattr’ore, al di là della versione ufficiale della polizia polacca.



«Ci hanno aggrediti loro» continuano disperatamente a sostenere a 1.800 chilometri da casa. E una traccia di questa aggressione si riscontra anche nelle notizie d’agenzia, nella scintilla che poi avrebbe dato la stura agli incidenti: all’alba di ieri, intorno alle cinque, c’è stato prima un accenno di rissa e poi cinque tifosi laziali («gente alla prima trasferta») sono stati inseguiti fin sotto il loro hotel. Secondo questa ricostruzione, l’hanno scampata per un pelo, ma è arrivata la polizia e sono state perquisite le loro e tutte le altre stanze degli italiani: 17 fermati, alcuni anche con precedenti. «Li accusa solo il personale dell’albergo», continuano a gridare da Varsavia.



I charter da Roma Quando a metà mattinata sono arrivati tutti gli altri charter da Roma, l’allarme è stato ancora più chiaro: erano in settecento, senza nessuna sigla sulle sciarpe, e quindi famigliole romane mescolate con ex Irriducibili. Hanno deciso di raggiungere tutti insieme lo stadio, la Pepsi Arena, e lì, come in ogni corteo, debbono aver avuto buon gioco i violenti. Pietre e bottiglie contro la polizia e la durissima reazione. Le foto sono lì e sulla brutalità di quest’intervento c’è anche la testimonianza di un fotografo di France Presse: gli italiani bloccati a terra, con la faccia sul marciapiede, da agenti antisommossa scesi contemporaneamente da almeno una trentina di autoblindo. Da Varsavia i laziali non se ne fanno una ragione: «Avremmo dovuti trattarli così noi, a Roma...».



I raid di due mesi fa Eh già, perché questi sono gli spezzoni di un inferno abbondantemente annunciato, almeno da settanta giorni, dal 19 settembre scorso, quando per l’incontro d’andata a Roma, furono i tifosi del Legia a gettare nel panico tutto il centro storico, con una serie di raid mirati e violenti. Fecero fuggire i turisti, danneggiarono vetrine, bloccarono un convoglio della metropolitana, arrivarono a forzare il cancello d’accesso all’Altare della Patria. Finì con 16 fermi e molti di loro che riuscirono a raggiungere l’Olimpico con tanto di passamontagna sul volto.



A Varsavia, invece, «ci hanno tenuto un’ora, un ora e mezzo in fila davanti alla stadio. Hanno perquisito tutti, anche le donne e i bambini». E sembra significativo, almeno in queste ore, il fatto che sia intervenuto con una dichiarazione ufficiale il direttore sportivo della Lazio, Igli Tare. Perché sono noti i difficili, alcune volte drammatici rapporti che la presidenza Lotito ha sempre avuto con le frange violente del tifo biancoceleste.



Ebbene Tare, a botta calda, ha affermato che i tifosi della Lazio a Varsavia «sono stati fermati senza nessun motivo, dopo aver chiesto alla polizia di essere scortati fino allo stadio». E, sempre Tare, si è augurato che «questa cosa si chiarisca e i fermati vengano rilasciati». La società, insomma, stavolta ci mette la faccia, dopo aver già pagato il suo contributo alle intemperanze -proprio come il Legia- con una partita decisa dall’Uefa a porte chiuse.



Il calcio violento dell'Est Lo sfondo è quello terribile del calcio violento in Europa, tifoserie dominate - anche nell’Europa dell’Est, soprattutto in Russia e in Polonia - da ideologie di estrema destra. Lo stesso orientamento che ha percorso e percorre frange ultrà del tifo laziale ma, come s’è visto in tante altre occasione, neanche questo serve ad evitare gli scontri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA