Viterbo, bimbo ucciso dal padre. Lo psichiatra Cancrini: «Colpire un innocente lo strumento per punire l'ex»

Lo psichiatra Cancrini: «Colpire un innocente lo strumento per punire l'ex»
Lo psichiatra Cancrini: «Colpire un innocente lo strumento per punire l'ex»
di Mauro Evangelisti
Mercoledì 17 Novembre 2021, 06:19 - Ultimo agg. 16:22
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«Quando l'uomo uccide il figlio per vendicarsi della donna, lo considera un oggetto, uno strumento per colpire la compagna. E se come spesso succede poi si uccide o tenta il suicidio, è perché pensa così di alimentare il senso di colpa di lei». Il professor Luigi Cancrini è uno psichiatra e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e sistemica, è fondatore e presidente di una importante scuola italiana di psicoterapia, il Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale. La tragedia di Cura di Vetralla, in provincia di Viterbo, segue un copione già visto.

Perché un uomo uccide il proprio figlio per vendicarsi della madre?
«Nella mente di una persona che sta così male il bambino non esiste. Esiste solo l'altra persona che gli sta negando qualcosa.

In qualche modo si può dire che non vede il bambino, è solo un oggetto, uno strumento. Questo, per fortuna in modo molto meno drammatico, succede anche in tante separazioni conflittuali. Il bambino diventa uno strumento all'interno di un litigio, non ciò che dovrebbe essere: il protagonista principale di cui i genitori dovrebbero occuparsi. Si tratta di una psicopatologia abbastanza frequente: in una coppia in conflitto grave c'è la perdita del senso della vita psichica, ma anche materiale, del bambino».

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In molti casi l'uomo tenta il suicidio.
«Sì, è frequente. E anche questo è un gesto rivolto a lei: guarda cosa hai fatto, hai distrutto tutto sembra dire l'uomo con un irrazionale atto di accusa».

Ci sono segnali che possono aiutare a comprendere quando una situazione può arrivare a questi estremi?
«Penso di sì. Le coppie che entrano in questi grandi conflitti dovrebbero essere sempre incoraggiate ad affrontare un lavoro psicologico perché aiuta. Questo è metà del mio lavoro tutti i giorni, dirigo un centro di terapia familiare. Quando la coppia viene, la sofferenza non si elimina. Qualche volta le cose si raggiustano, altre volte c'è la separazione. Chiedere aiuto è però un primo passo importante. Dovrebbe essere anche un punto di attenzione per tanti avvocati a cui ci si rivolge in prima battuta: la richiesta di un lavoro psicologico, di una mediazione, invece che l'esasperazione del conflitto. E c'è un altro elemento di prevenzione: un bambino al centro di un conflitto, dà segni di difficoltà. Ma a volte mancano coraggio e competenza di affrontare ciò che c'è alle spalle del turbamento del bambino».

 

In questa storia qualcosa era successo: lui per ordine del giudice non poteva avvicinarsi alla donna e al figlio.
«Anche lì: la donna fa la denuncia ed è sacrosanto. Nei centri anti violenza però andrebbe incoraggiato anche un lavoro di terapia e mediazione. Chi raggiunge certi estremi, purtroppo non si ferma di fronte all'ordine del giudice di non avvicinare la donna. E diventa così più pericoloso, lo sente come un altro schiaffo. Ero in Parlamento quando si discusse la legge sullo stalking. Avevo proposto un emendamento, che non fu accolto, per ipotizzare che tutte le volte che c'è un'accusa di quel tipo, si richieda un controllo psichiatrico della persona protagonista. Va valutata la salute mentale. E se è alterata, si deve provvedere».

I quasi due anni di pandemia, prima i mesi del lockdown, poi le limitazioni e le preoccupazioni per la salute e per il lavoro, hanno aumentato i conflitti familiari?
«Sì. Ci sono famiglie che si sono ritrovate con il Covid grazie all'occasione di vivere più tempo a stretto contatto; per tante altre, però, l'esasperazione dei conflitti ha portato a delle situazioni di violenza. Un conflitto coniugale che si può compensare con la possibilità di allontanarsi, con l'insieme di distrazioni di una vita normale, si aggrava quando, come durante il lockdown, c'è una convivenza forzata per tutto il giorno».

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