Yara, Massimo Bossetti e i dubbi della difesa sulla prova 'regina' per riaprire il caso

Yara, Massimo Bossetti e i dubbi della difesa sulla prova 'regina' per riaprire il caso
Yara, Massimo Bossetti e i dubbi della difesa sulla prova 'regina' per riaprire il caso
di Redazione web
Sabato 10 Settembre 2022, 10:56 - Ultimo agg. 13:35
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Sul caso dell'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di 13 anni scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata assassinata il 26 febbraio 2011, potrebbe non essere ancora stata scritta la parola fine. Massimo Bossetti è l'assassino di Yara: lo dice il Dna trovato sul corpo della 13enne di Brembate. Lo certifica in via definitiva la Cassazione. Eppure, le 54 provette contenenti la traccia biologica mista di vittima e carnefice, spostati dal frigorifero dell'ospedale San Raffaele di Milano all'ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo, potrebbero riaccendere le speranze dell'uomo detenuto a Bollate e creare imbarazzo al pubblico ministero Letizia Ruggeri che a Ignoto 1 ha dato la caccia a lungo.

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La difesa di Massimo Bossetti

Per la difesa, rappresentata dall'avvocato Claudio Salvagni, lei potrebbe avere responsabilità precise in quel cambio di destinazione che interrompendo la catena del freddo - i campioni erano conservati a 80 gradi sottozero - potrebbero aver deteriorato il Dna rendendo vano qualsiasi eventuale tentativo di nuove analisi.

Sotto la lente di ingrandimento - nella richiesta di opposizione all'archiviazione che sarà discussa a novembre in tribunale a Venezia - ci sono le dichiarazioni del pm Ruggeri davanti al procuratore aggiunto Adelchi D'Ippolito, ma anche passaggi chiave delle testimonianze rese da alcuni consulenti.

Nell'atto di quasi 70 pagine, la difesa mette in fila quanto accaduto dopo il 12 ottobre 2018 quando la condanna diventa definitiva, senza che Bossetti abbia mai potuto vedere da vicino la 'prova regina' che lo tiene in carcere.

Il 26 novembre 2019 l'avvocato Salvagni richiede l'accesso ai campioni di Dna (e la possibilità di esaminarli) e l'indomani ottiene l'autorizzazione, ma non sa che il pm ha già chiesto di spostare le provette: il 21 novembre i 54 campioni vengono tolti dal frigo e consegnati dal professore Giorgio Casari ai carabinieri di Bergamo, raggiungeranno il tribunale il 2 dicembre 2019, «12 giorni dopo» aver lasciato il San Raffaele. Reperti sottoposti a un provvedimento di confisca che ne vieta la distruzione e su cui dopo il primo sì a visionarli da parte del presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo Giovanni Petillo arriva un inusuale dietrofront che lascia ancora oggi la difesa con un pugno di mosche in mano.

La procura di Venezia (competente sui magistrati di Bergamo), che indaga sulla corretta conservazione dell'impronta genetica trovata su slip e leggings di Yara, archivia la posizione della funzionaria responsabile dell'ufficio Corpi di reati e di Petillo accusati di frode processuale e depistaggio: «non c'è alcuna prova di un piano orchestrato allo scopo di depistare eventuali nuove indagini difensive». Ma Bossetti - che ha sollecitato l'indagine con una denuncia - non ci sta e ora, nell'atto rivolto al gip, punta il dito contro chi ha rappresentato la pubblica accusa in tribunale. E lo fa sostenendo che «i 54 campioni erano idonei per nuove analisi», che «le tecniche di oggi avrebbero risolto le gravi anomalie» e che i campioni biologici «dovevano essere conservati al freddo, per evitarne lo scongelamento e il conseguente deterioramento».

Dichiarazioni non proprio nuove a chi non si è perso un'udienza del processo, ma che sorprendono la pm Letizia Ruggeri. Sentita il 10 marzo 2021, viene incalzata dal procuratore vicario di Venezia D'Ippolito che la informa di come il professore Casari e il colonnello Giampietro Lago a capo del Ris del Parma gli abbiano riferito che l'esame era assolutamente ripetibile e che c'era del Dna sufficiente per poter effettuare una nuova comparazione. Una certezza che la spiazza. «Ma assolutamente no, ma abbiamo tutto un processo in cui…ho tutti i verbali del processo in cui è emersa una cosa completamente diversa. Ma…cioè, sono anche abbastanza meravigliata» le parole messe a verbale. «Peraltro, cioè, su quel Dna la parola fine l'ha messa la Cassazione. La parte residuale che era rimasta in quelle 54 provette non era che io sappia, che sia emerso dal processo, dalle indagini preliminari, da quello che mi ha detto anche…mi hanno detto tutti i consulenti, era che 'Sì certo, qualcosa magari si tira fuori, ma...ma non...ma non con questa certezza, in questi termini con cui mi viene prospettato adesso, nel modo più assoluto» aggiunge.

 

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