11 settembre 2001, tutti i misteri ancora da svelare dal ruolo del Pakistan all'Arabia Saudita

11 settembre 2001, tutti i misteri ancora da svelare dal ruolo del Pakistan all'Arabia Saudita
di Mauro Canali
Domenica 12 Settembre 2021, 09:00 - Ultimo agg. 13:29
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Non è un dettaglio da poco che la prima visita ufficiale fatta a Kabul da un rappresentante del governo pachistano sia quella di Faiz Hameed, il capo dell'Inter-Services Intelligence, l'Isi, cioè i potenti servizi segreti pakistani. Una visita giunta in un momento complicato per i nuovi padroni di Kabul i cui contrasti impedivano loro persino di formare il governo. L'uomo forte di Islamabad ha mostrato a Kabul una autorevolezza insospettata che la dice lunga sui rapporti segreti mantenuti sin dall'inizio della guerra dai servizi segreti pakistani con i talebani e con movimenti jidhaisti afgani. Più volte la Casa Bianca aveva manifestato i sospetti che il Pakistan foraggiasse il terrorismo di al Qaida e i talebani del Mullah Omar suoi alleati. Il Pakistan era stato del resto uno dei pochi stati a riconoscere nel 1994 il primo governo dei talebani. Ma anche in seguito, non appena era iniziata l'invasione del paese asiatico da parte degli Usa, i combattenti talebani avevano considerato i distretti pakistani di frontiera come loro territori, e di fatto li avevano controllati. Il cosiddetto Fata, il Federally Administered Tribal Areas, costituito da tre distretti del Pakistan del nord-ovest, aveva subito costituito un rifugio per i ricercati di al Qaida e poi santuario per i combattenti talebani, per lo più tollerato da Islamabad. Ai servizi segreti americani tutto ciò era continuato a sembrare tuttavia una sorta di gioco delle parti, in cui di fatto Islamabad dava asilo a terroristi e combattenti talebani. 

Anche con l'estendersi della guerra, e soprattutto con il suo prolungarsi, i servizi segreti pakistani hanno seguitato a svolgere un ruolo primario, prima stabilendo che fosse venuto il momento di consegnare Osama bin Laden agli americani, poi favorendo discretamente l'avvio di un processo che, come auspicavano a Islamabad, avrebbe dovuto condurre al progressivo ritiro delle truppe americane e poi a veri e propri negoziati di pace. Ora Faiz Hameed va a raccogliere a Kabul i frutti dell'ambiguo gioco svolto da lui e dai suoi servizi segreti, e sembra che i primi risultati gli stiano dando ragione. Il Pakistan voleva una soluzione che spazzasse via quell'aria di compromesso che è sembrata spirare a Doha, con una sorta di accordo tra i moderati filooccidentali, vicini a chi aveva collaborato con gli americani, e le correnti più oltranziste. In realtà alla partenza di Hameed i nuovi padroni di Kabul hanno reso ufficiale la formazione governativa, rivelando indirettamente gli interessi tendenziali dei pachistani. A uscire ridimensionati sono gli elementi moderati, mentre è l'anima radicale, contigua al terrorismo jiadhista a occupare posti di rilievo, a partire dal primo ministro Mohammad Hassan Akhund, che Washington ha considerato fra i dieci terroristi più ricercati.

Ma ora il gioco del Pakistan, di pesare di più in quell'area, si fa più difficile, poiché, non solo si tratta di mantenere i buoni rapporti con gli ormai diffidenti Usa, ma nel teatro hanno fatto il loro ingresso nuovi attori, Russia, Cina, Iran e Arabia Saudita. 

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I rapporti con quest'ultima in particolare si presentano molto insidiosi. I vecchi legami tra il Mullah Omar e Osama bin Laden sono imbarazzanti per diversi esponenti del nuovo governo, come Baradar e Akhundzada, che non hanno mai ufficialmente sconfessato i loro legami con al Qaeda. Anzi le dichiarazioni rilasciate nell'anniversario del 9/11 vanno nel senso opposto, e cioè in quello di negare che «lo sceicco del terrore» sia stato l'artefice dell'attacco al World Trade Center. C'è da chiedersi quanto ci sia di messaggi cifrati indirizzati verso Riad, dove è presumibile che siano ancora in circolazione e non certo nei piani bassi della gerarchia politica ed economica saudita, i vecchi simpatizzanti di Osama bin Laden. In una intervista televisiva rilasciata alla vigilia dell'anniversario di 9/11, l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, nel rispondere a una domanda su cosa si aspettasse dalla desecretazione dei documenti sull'attacco al World Trade Center comunicata ufficialmente da Biden pochi giorni fa, rispondeva imbarazzato che riteneva non vi potessero essere documenti nocivi per i rapporti tra Usa e Arabia Saudita. Forse i rapporti raccolti dalla Cia potranno fare un po' più di chiarezza su tutta la vicenda, considerato che quindici dei diciannove dirottatori erano cittadini sauditi. Come potranno gettare una maggiore luce sulla incredibile prova di inettitudine rivelata dai sistemi di sicurezza americani, incapaci di prendere una qualsivoglia iniziativa fino a un'ora dopo l'avvenuto attacco. 

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