Afghanistan, Bonino: «Usa senza strategia, l'Occidente ha sbagliato tutto»

Afghanistan, Bonino: «Usa senza strategia, l'Occidente ha sbagliato tutto»
di Titti Marrone
Giovedì 19 Agosto 2021, 07:57 - Ultimo agg. 17:52
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Nessun ministro degli Esteri o parlamentare europeo conosce più e meglio di Emma Bonino i talebani e l'Afghanistan, dove nel settembre 1997, quando era Commissario Ue per le emergenze umanitarie, fu anche arrestata dalla polizia religiosa. Nessuno più dell'ex ministra degli Esteri del secondo governo Prodi, che nel 1998 lanciò la campagna Un fiore per le donne di Kabul e nel 2005 è rimasta a Kabul per sei mesi, ha presente lo scenario inquietante aperto per le afghane dal ritorno al potere dei talebani. Perciò il suo sguardo sul disastro successivo al ritiro Usa può dirci molto di quello che ci aspetta.

Onorevole Bonino, alla fine del Consiglio degli Affari Esteri dello scorso martedì, l'alto rappresentante della Ue per la politica estera e la sicurezza comune, Joseph Borrell, ha detto: i talebani hanno vinto la guerra, è con loro che bisogna parlare. E Luciana Castellina ha ricordato un vecchio detto pacifista: i patti si fanno con i nemici, ergo, bisogna trattare con i talebani per ottenere canali per l'espatrio. È giusto o sbagliato, realpolitik o cedimento?
«Si tratta di evitare confusioni: dialogare non può e non deve voler dire legittimare, sono due cose profondamente diverse.

Si dialoga con la Cina, con tutti, si fa sempre a partire dalle differenze e in verità sarebbe stato già fatto a Doha nel 2020, anche se non è dato sapere che cosa si siano detti in quell'occasione gli Usa e i talebani. Dopodiché mesi fa è stato annunciato il ritiro delle truppe americane e lì noi occidentali, con gli Stati Uniti in primis, abbiamo sbagliato tutto, creando un disastro. Posto che in Afghanistan non vogliamo né potremmo tornare, va detto però che ora sarebbe rischiosissimo fare muro contro muro, evitare ogni dialogo».

Prima e dopo la riunione dei ministri degli Esteri, la voce dell'Europa appare flebile e frammentata. Solo la Merkel ha ammesso chiaramente gli errori. C'era per l'Europa la possibilità di un ruolo diverso?
«Gli errori dell'Europa non sono di ora ma di sempre. Finché non avrà una politica estera comune, ogni Paese farà da sé. Bisogna leggere con attenzione il documento finale della riunione dei ministri Ue: innanzi tutto va detto che è in realtà una dichiarazione del suo presidente, cosa che in bruxellese' vuol dire che ci sono dei contrasti. Quella dichiarazione contiene due punti importanti, nemmeno tanto tra le righe: primo, che i Paesi europei sono disposti a riconoscere il governo dei talebani come legittimo; secondo, che aiuteranno i Paesi limitrofi, cioè Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Iran, purché si tengano loro i profughi. Quanto alle promesse dei talebani, le fanno perché in questo momento hanno tutto l'interesse a essere riconosciuti politicamente, per questo si mostrano con la faccia moderata, promettono amnistie e rispetto per le donne. Ma io non ci credo, non c'è da fidarsi. E dire che fino al 1998 eravamo riusciti a evitare che ci fosse un loro riconoscimento politico».

Ma c'è ancora uno spazio per l'Europa, di diplomazia o di altro tipo, per mettere sul tappeto le questioni più urgenti, come garantire l'evacuazione dei profughi, con la creazione di corridoi umanitari oggi chiesti anche da moltissime associazioni di donne?
«I corridoi si devono negoziare con i talebani e non so se questo sia possibile. La verità è una sola: adesso si rischia di abbandonare nelle loro mani migliaia di afghani che sono stati nostri collaboratori, ed è un'altra pesantissima sconfitta dell'Europa e dell'Occidente. Però non va dimenticata una cosa: gli Usa erano lì da vent'anni e tutti hanno un'opinione pubblica, era difficile far trangugiare agli americani altri dieci anni. C'è anche da chiedersi perché in vent'anni gli afghani non si siano riusciti a dotare di strutture credibili. Milioni di dollari sono stati spesi per l'esercito che poi si è sciolto come neve al sole. Possibile che i servizi di intelligence non ne fossero consapevoli? E poi, c'era bisogno di annunciare il ritiro con mesi di anticipo dando tempo ai talebani di organizzarsi? Mi sorprende più di tutto che non ci fosse un piano di evacuazione. Sentivo dire: Avremo tempo, i talebani ci metteranno mesi a reagire. Sono bastati tre giorni e hanno preso il potere».

La vergogna maggiore di tutto l'occidente è non aver mantenuto l'impegno preso soprattutto con le donne. Lei che lanciò la campagna Un fiore per le donne di Kabul come si sente oggi?
«Addolorata. Sono in contatto con alcune amiche coraggiose rimaste a Kabul che si sentono abbandonate. In vent'anni si era creata una maggiore libertà, soprattutto nelle grandi città. In un processo lungo come quello in atto in una società patriarcale di cui pure noi sappiamo qualcosa erano sorte più scuole, più ospedali. Ora si rischia di precipitare all'indietro. Non c'è minimamente da fidarsi di quel che hanno detto i talebani alla conferenza stampa a proposito di libertà per le donne. Nel rispetto della Sharia, poi, cioè della loro interpretazione del Corano che non sanno neanche leggere, visto che moltissimi di loro sono analfabeti. Ora sto cercando di spingere perché il Consiglio dei Diritti umani di Ginevra approvi una commissione per il monitoraggio costante della situazione. Non so se il governo italiano se ne farà carico, lo spero. Perché sarebbe il primo passettino per non perdere i contatti con quello che succederà lì, soprattutto quando i riflettori dell'interesse mediatico si saranno affievoliti o spenti».

Abbiamo spesso criticato la logica Usa che pretendeva di esportare la democrazia con le armi. Questo è in contraddizione con la deplorazione del ritorno a casa dei soldati americani?
«Cominciamo col dire che la democrazia non è materia di import-export. Non si esporta, ma si promuove con pazienza e determinazione. Però noi occidentali non lo facciamo. Si pensi alla Tunisia, che stiamo lasciando andare alla deriva. Non vorrei apparire una Cassandra, ma da mesi dico che anche l'Algeria è una polveriera pronta a esplodere. L'Europa tace, mostra di non accorgersene. Il rischio è lo stesso dell'Afghanistan: ci sveglieremo quando sulle nostre coste arriveranno migliaia di profughi disperati».

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