Afghanistan ai talebani, venti anni di lotta buttati

Afghanistan ai talebani, venti anni di lotta buttati
di Gianandrea Gaiani
Domenica 18 Luglio 2021, 08:46 - Ultimo agg. 17:34
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I rapidi sviluppi militari in Afghanistan a vent'anni dall'attentato alle Torri Gemelle mettono a nudo una realtà di cui Usa e Nato erano in realtà da lungo tempo consapevoli.

Il leit-motiv del progressivo ritiro militare delle forze alleate, avviato a partire dal 2011 quando in Afghanistan erano schierati 140 mila militari (100 mila statunitensi e 40 mila europei), è sempre stato che l'addestramento, la consulenza e il supporto finanziario (circa 4 miliardi di dollari annui di cui 120 milioni pagati da Roma) assicurati dagli alleati occidentali avrebbero reso le truppe di Kabul in grado di affrontare da sole e con successo le milizie talebane. Una fake news facile da smascherare per chiunque abbia seguito sul campo il conflitto afghano per almeno due ragioni.

La prima è che la maggioranza delle reclute di esercito e polizia afghani erano e sono analfabeti o dotati di un'alfabetizzazione talmente basica da non consentire la comprensione e lo studio di testi o manuali tecnici.

Impossibile insegnare loro aspetti tattici complessi o la manutenzione di armamenti e apparecchiature. Il secondo elemento è rappresentato dalla pretesa statunitense di sostituire tutti gli equipaggiamenti di tipo sovietico in dotazione, la cui familiarità era consolidata da decenni (dagli elicotteri ai blindati, dagli aerei ai fucili inclusi 25 mila veicoli Humvee), con mezzi e armi made in Usa, meno rustici, più sofisticati e con una manutenzione così complessa da dover essere affidata a contractors, tecnici dipendenti da società statunitensi.

In questo modo Washington ha sottratto a Mosca uno dei suoi mercati tradizionali per l'export militare e molti miliardi di dollari donati dagli Usa a Kabul sono rientrati nelle tasche americane per pagare forniture e servizi di manutenzione ma il risultato è la paralisi militare delle truppe afghane. Soprattutto oggi che, con i militari americani e Nato, hanno lasciato di corsa l'Afghanistan anche i contractors che gestivano la manutenzione dei mezzi.

Il comando militare di Kabul da maggio ha iniziato a ritirare le guarnigioni dalle aree più esposte e isolate, ben sapendo che non avrebbe potuto rifornirle. Ciò nonostante nell'ultimo mese interi kandak (battaglioni) hanno preferito arrendersi senza combattere ai talebani che hanno messo le mani su molte armi e almeno un migliaio di veicoli made in Usa.

La strategia talebana punta oggi su due precise direttrici: assumere il controllo dei più importanti valichi di confine (già occupati quelli con Iran, Pakistan, Turkmenistan e Tagikistan) e ampliare il controllo delle aree rurali intorno ad alcuni importanti città ormai sotto assedio: Kandahar e Laskar-Gah nel sud, Mazar-i-Sharif nel nord ed Herat nell'ovest.

L'obiettivo, sostenuto dal Pakistan da sempre ispiratore e partner dei talebani, è amplificare gli effetti della propaganda talebana che rivendica il controllo dell'85% del territorio nazionale e aumentare l'impatto politico sui paesi vicini.
I talebani puntano ad accreditarsi come interlocutori credibili in grado di offrire garanzie di non soffiare sul fuoco del jihad oltre i suoi confini come temono soprattutto Russia, Cina e India.

Si tratta di nazioni che hanno interessi economici in Afghanistan e sostengono il governo di Kabul ma che mantengono relazioni con i talebani per scongiurare il rischio che alimentino l'insurrezione jihadista nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche e nel Sinkiang cinese.

Un rischio che non viene sottovalutato a Mosca e Pechino dove c'è chi ritiene che il rapido ritiro degli Usa nasconda la volontà di lasciarne le pericolose conseguenze strategiche in eredità ai maggiori rivali di Washington.

Del resto, guardando alla repentina serie di sconfitte militari subite in queste settimane dalle forze afghane, appare evidente come i talebani abbiano lanciato quest'anno la tradizionale offensiva di primavera, scatenata con la bella stagione ogni anno a partire dal 2006, cioè dall'inizio della riscossa dopo il crollo del loro regime in seguito all'invasione americana a fine 2001. Da un lato quest'anno i successi talebani sono più eclatanti per l'assenza di forze Nato in appoggio alle truppe di Kabul, dall'altro è chiaro che sarebbe stato sufficiente posticipare il ritiro di Usa e alleati all'autunno/inverno per garantire maggior respiro all'esercito afghano.
 

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