Anniversario Tienanmen, gli Usa chiedono «verità», l'ira di Pechino

Anniversario Tienanmen, gli Usa chiedono «verità», l'ira di Pechino
Lunedì 4 Giugno 2018, 22:40 - Ultimo agg. 23:48
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Il suo stare ritto davanti ai carri armati che avevano invaso piazza Tienanmen divenne l'icona della rivolta dei giovani cinesi e purtroppo anche l'immagine della repressione del governo di Pechino. Ieri, ventinovesimo anniversario, l'inascoltato appello delle madri di piazza Tiananmen, una lettera diretta al presidente Xi Jinping firmata da 128 persone in cui si chiede «verità, compensazioni e responsabilità», e la tradizionale fiaccolata a Victoria Park di Hong Kong. Ma non solo. A sorpresa a turbare la "silenziosa ricorrezza" ci ha pensato il  segretario di Stato americano Mike Pompeo che, con una dura dichiarazione, ha invitato il governo cinese a rendere pubblico il numero di persone uccise, detenute o scomparse nelle manifestazioni pro democrazia nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989.
Come scritto da Liu Xiaobo nel discorso per il Nobel per la Pace 2010, letto in absentia, «i fantasmi del 4 giugno non sono ancora sepolti», ha notato Pompeo, chiedendo l'impegno a liberare «coloro che sono stati imprigionati per aver cercato di mantenere vivo il ricordo» e di «porre fine alle continue molestie dei partecipanti alla dimostrazione e alle loro famiglie». La Cina, attraverso il ministero degli Esteri, ha manifestato tutta la sua irritazione annunciando una protesta formale, ha detto la portavoce Hua Chunying.
La mossa di Pompeo, del resto, cade nel pieno delle tensioni commerciali tra i due Paesi e gli osservatori hanno rimarcato che il tema dei diritti umani non è stato minimamente sollevato durante la visita di ottobre in Cina del presidente americano Donald Trump.
 Secondo i media di Hong Kong, a poche «mamme» è stato concesso di recarsi al cimitero pubblico di Wan'an, a 15 km a ovest di Pechino, per onorare i defunti tra forti controlli.
Il governo cinese ha sempre negato violazioni a Tiananmen prima descrivendo l'evento come «sommossa antirivoluzionaria», poi come «disordini politici» risolti che non necessitano di ulteriore attenzione. Le vittime sono stimate ufficialmente in poche centinaia, mentre gli attivisti temono un numero superiore alle migliaia. Se la Cina ammettesse la natura violenta, la tragedia «potrebbe trasformarsi nella fondazione di libertà e democrazia», ha scritto su Facebook la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, sotto la pressione del presidente Xi Jinping che spinge perché l'isola ribelle torni nel controllo della madrepatria.
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